Penelope Cruz: «Oggi chi mi guarda vede una femminista»
A Pedro Almodóvar, l’intuizione di raccontare la storia di due madri legate da un destino comune era venuta più di dieci anni fa. Lo dice Penélope Cruz, che abbiamo incontrato durante la Mostra internazionale d’Arte cinematografica di Venezia, dove il film del regista spagnolo, Madres paralelas, di cui lei è protagonista, è stato presentato in concorso, regalando all’attrice la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile.
Se a qualche metro di distanza stupisce per la sua perfezione degna di una miniatura, da vicino Cruz, 47 anni, assume contorni più terrestri. Mentre parla, ancor più della bellezza, colpiscono la sua vivacità, le parole che fluiscono in tre lingue diverse, spagnolo, italiano e inglese, il suo puntarti lo sguardo dritto negli occhi, il gesticolare, le risate. «Stavamo facendo il tour di promozione di Tutto su mia madre», continua. «Un giorno, Pedro mi disse che aveva in mente il personaggio di una fotografa e che voleva raccontare il suo rapporto con una donna più giovane. Il buffo è che lui non si ricorda di avermelo detto».
Quella sceneggiatura, spiega, era rimasta a lungo tra i tanti progetti in sospeso. «Fino all’arrivo della pandemia: è stato allora che l’ha ripresa in mano e l’ha riscritta». In Madres paralelas, nei cinema dal 28 ottobre, Janis, il suo personaggio, è una single, del tutto dedita al suo lavoro e a un ideale: ritrovare la fossa comune dove sono i resti del suo bisnonno, uno dei circa 140 mila desaparecidos uccisi e fatti sparire durante la guerra civile spagnola e gli anni della dittatura. È proprio a causa delle sue ricerche che Janis fa amicizia con Arturo, un archeologo che segue questo genere di scavi. I due hanno una breve relazione, lei rimane incinta e decide di occuparsi di sua figlia da sola. Scoprirà con il tempo, però, dell’esistenza di un altro filo che non può spezzare, quello che la unisce alla ragazza conosciuta nell’ospedale dove entrambe stavano per partorire.
Madres paralelas è il suo settimo film con Almodóvar. Ormai siete una famiglia.
«Lo adoro da prima ancora di conoscerlo. Ho cominciato a guardare i suoi film quando avevo 14 o 15 anni. A casa, in videocassetta, oppure al cinema. E siccome alcuni erano vietati ai minori, per entrare mentivo sulla mia età. Per me, già allora, non era solo un grande artista, ma anche una figura in qualche modo politica. Un modello di libertà. Pedro ha raccontato la fluidità di genere fin dai primi film. Molti dei suoi personaggi sono omosessuali, bisessuali, transessuali».
Nel film vediamo due donne che, per motivi diversi, fanno fatica a essere madri single.
«C’è una frase che ripeto sempre: “Per crescere un bambino ci vuole un villaggio”. Lo dico alle mie amiche che sono mamme anche loro. Purtroppo ci siamo dimenticati che una donna ha bisogno di aiuto durante la gravidanza e dopo la nascita di un figlio. Non si può fare tutto da sole».
Parla per esperienza personale visto che ha un bambino, Leonardo di 10 anni, e una bimba, Luna, di 8, avuti da suo marito Javier Bardem?
«Esatto. L’ho imparato sulla mia pelle. Ventiquattr’ore dopo la nascita di mio figlio, mi ero già rimessa le scarpe con i tacchi, pronta a fare tutto come prima. Non volevo che qualcuno mi aiutasse, non dormivo per occuparmi del bambino. Pensavo di essere Wonder Woman. Non c’è voluto molto per rendermi conto non solo che non lo ero, ma anche che non era giusto volerlo essere. È la nostra società a influenzarci, ci convincono che noi madri dobbiamo fare tutto da sole, senza concederci un po’ di tempo per se stesse».
Con la secondogenita è stato più facile?
«S’impara, no? Sono sempre stata molto presente per entrambi i miei figli, anche perché fa parte del mio carattere: mi piace avere tutto sotto controllo. Ma con Luna mi sono concessa un po’ di tempo per me. Anche se, a dire il vero, non sono ancora abbastanza brava a prendermi i miei spazi. Mia madre me lo dice sempre che dovrei riposarmi di più».
Sua madre è stata un modello per lei?
«È una donna di grande forza. Sia lei sia mio padre hanno dedicato tutte le loro energie a me, a mia sorella Mónica e a mio fratello Eduardo. Erano poco più che ventenni quando sono nata. Mi sforzo di essere alla loro altezza, della mia mamma in particolare. Più della carriera, per me, conta la famiglia. Per questo cerco di non lavorare troppo, di avere i fine settimana liberi. Non sono mai stata lontano dai miei figli per più di quattro giorni di fila».
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Testo di Enrica Brocardo - Foto di Xavi Gord © Lancome
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