Nina si rialza sempre

È la cantante italiana più anni 50, ma Nina Zilli è anche una ragazza che guarda avanti. Soprattutto dopo le ultime delusioni d’amore: «Sono stanca di saltare su tutti i treni che passano, senza sapere nemmeno dove sto andando», dice. E a Grazia ha raccontato dove vuole arrivare

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Siamo nel 2015»: nel corso di questa intervista Nina Zilli si è sbagliata tre volte. E io lì a correggerla: «2016. Siamo a marzo 2016». Lei ride: «Oh mamma santa, di già?». Perfetto. Questo suo riposizionarsi indietro nel tempo è un lapsus che dice tutto. Perché lei è davvero vintage (vedremo  quanto), come l’eyeliner e la lacca per capelli. Come la sua voce densa e le stoffe di cotone a fiori.

Però, se le parli, lo capisci. Nina è anche una donna maledettamente contemporanea. Con la sua determinazione a farcela, con gli amori totali che poi si scoprono qualunque. Con una vita piena di accelerazioni e frenate. Con le ripartenze in salita. E soprattutto tutta quella solitudine, che lei ha cantato in Sola e rimuginato in tante notti sveglia sul divano.
In tutto questo Maria Chiara Fraschetta, in arte Nina Zilli, 36 anni, oggi è felice. Sta per andare in onda (su Tv8, dal 16 marzo) la sua “seconda volta” nella giuria di Italia’s Got Talent e lei ne parla come di un’esperienza prima di tutto stupefacente. «Io sono una che odia le sorprese eclatanti, i gesti dimostrativi. Ma rimango a bocca aperta quando a stupirmi sono le persone. E in questo talent transita gente incredibile, anche se magari a vederla non ti aspetti niente. Poi capisci che sa fare, dire o anche solo immaginare cose straordinarie. Allora pensi: “Che bella storia la vita”».

Lei lì a giudicare insieme con i suoi partner: l’attore Claudio Bisio, l’attrice Luciana Littizzetto e la star del web Frank Matano a giudicare. È solo divertente?
«No, è anche difficile. Perché ti affezioni a tutti: non riesci a separare le performance che vedi sul palco dalle storie delle persone. Noi cerchiamo talenti speciali, ne vediamo tanti e dire degli inevitabili “no” è doloroso».

Fuori dal tavolo della giuria, chi la stupisce?
«Massimo Ranieri, con cui ho lavorato in Sogno e son desto 3, su Rai Uno. Sapevo che era un grandissimo artista, ma ho scoperto che è anche una persona piena di luce. Umile, tenace, con un talento immenso, ma un’umanità ancora più profonda. Vicino a lui mi sento stupida, come quando vedo la gente che combatte per cose grandi in un mondo che riduce tutto al minimo. Siamo in un’epoca di amicizie strette su Facebook, amori virtuali, contatti zero. Chi vive intensamente, e davvero, mi commuove sempre. Mi fa pena chi si lascia vivere».

A lei non è mai successo?
«Faccio in modo che non accada, mi do un gran daffare. Troppo. Spesso sbaglio. Salto su tutti i treni che passano, senza sapere dove sto andando. Mi è capitato di dovermi buttare giù, scendere mentre ero ancora in corsa».

Si è fatta male?
«Molto».

Amore o lavoro?
«Tutt’e due. Nel lavoro qualche anno fa ho capito di dover mollare un treno che mi portava via da me: magari verso il successo, sicuramente in un posto dove non c’era più la mia musica. Io sono una che ha cominciato a scrivere le sue canzoni a 12 anni: per quanto patetiche possano sembrarmi adesso, so per certo che la mia strada è questa. Non tradire la mia musica. Ho detto a me stessa e a chi vuole produrre il mio lavoro: “Io sono questa qui. Prendere o lasciare”».

Nessuna mediazione?
«Detesto questa parola. Mediare vuol dire andare al ribasso. Preferisco provare ad andarsi incontro, che è un’altra cosa».

Amore e altre batoste. Come va?
«Malissimo. Ha presente la mia canzone dell’anno scorso? Ecco. Confermo la mia triste situazione: sono una donna completamente Sola».

Il tutto detto con una voce molto allegra.
«Ma sì, l’amore arriverà. Oh mamma: che frase stucchevole che ho detto! Sono convinta che ci sia un motivo. Ho bisogno di mettermi a fuoco meglio, di smetterla di salire su treni sbagliati».

Una cosa bella della solitudine?
«La notte. È tutta per me. La città dorme. E dorme perché io possa sentirmi sola».

Una cosa brutta?
«La solitudine in sé, quando diventa blu e mi avvolge tutta, mentre sono in mezzo alla gente».

Che cosa le piace di se stessa?
«Tutte le cose piccole: i polsi e le caviglie. Il resto mi pare tanta roba, troppa. Oh mamma: anche le tette ce le ho piccole, e questo non è bellissimo».

Tanta roba: i capelli, soprattutto. Un suo marchio di fabbrica.
«Vi stupirò. Perché a metà delle registrazioni di Italia’s Got Talent ho deciso di tagliarmeli di ben 45 centimetri».

Una mutilazione, praticamente.
«Volevo cambiare e poter avere capelli di ogni colore senza tingermeli e sfinirli, come ho fatto per anni. Le parrucche non ti entrano se hai una cofana in testa».

Via i capelli: secondo me qualcosa la preoccupa.
«La vecchiaia incombe, cara mia».

E dunque?
«Devo ricominciare a fare boxe».

Ha voglia di picchiare qualcuno?
«No. Lo faccio perché ho bisogno di riprendermi il mio fiato. E correre mi annoia a morte».

Quanti pugni si è presa nella vita?
«Moltissimi. Tutti i “no” che mi hanno detto in faccia».

Qualche K.O.?
«Ovvio, soprattutto in amore», (Nina ha avuto una relazione, oggi conclusa, con il cantante Neffa). «Comunque sono una che si rialza sempre. Quando sto male, sto male. Me lo dico, lo ammetto, lo vivo. Ma se la sofferenza ha una profondità, deve avere pure un limite. Bisogna darle un tempo preciso: non un minuto di meno, non uno di più».

È stata dura la fine dell’amore con Neffa?
«Sì. Poi per fortuna c’è la musica che è la mia psicoanalisi “fai-da-te”. E ho avuto una mano dagli amici. Soprattutto dalle amiche, quelle che non ti mollano mai e sono disposte a fare per te la cosa più vintage che ci sia: chiacchiere. In salotto. Con il tè e i biscottini. Parlando d’amore. E piangendo».

Empatia: la parte buona del dolore.
«Sì, sentire che chi ti vuole bene ti vuole bene davvero».

Parla di dolore con una voce piena e forte. Lei è una donna ottimista.
«Sono una che vede il bicchiere sempre mezzo pieno. Anche perché so che è sempre a metà: quindi tanto vale concentrarsi sulla metà giusta, no?».

Ultimo pensiero prima di dormire, per augurarsi una buona notte davvero?
«Nessuno. Io sono un’insonne da sempre. E mi addormento per sfinimento. Lo sanno bene i miei genitori: ho passato le notti della mia infanzia a saltare nel loro lettone. Oggi, quando mi sveglio all’alba in salotto tutta rattrappita mi trasferisco come una sonnambula in camera, grata di aver raggiunto uno stato di semi-incoscienza».

Eppure lei è una donna allegra. E pure simpatica.
«Io ogni tanto mi sto un po’ sulle palle, a dire il vero. Non mi sopporto tanto».

Quando succede che cosa fa?
«Se sono molto stanca, migro nei pensieri e nelle storie degli altri. Leggo un libro e mi ci perdo. Vedo un film e mi immedesimo totalmente. Aspetto che passi il mio momento blu».

Torniamo alla sua anima vintage. C’è una ragione?
«Non vivo nel rimpianto del passato, ma mi piace celebrarlo. Gli Anni 50, per esempio, hanno avuto un’eleganza e una purezza in cui mi piace immedesimarmi. Anche se sto cercando di non correre il rischio».

Quale rischio?
«Quello di passare direttamente da vintage simulata a babbiona vera».

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«Se la strage in spiaggia o il saccheggio alla Stampa sono definiti "resistenza"»: l'editoriale di Silvia Grilli

Silvia Grilli
Il nuovo numero di Grazia è ora in edicola. Ecco l'editoriale della Direttrice Silvia Grilli

La resistenza è necessaria con ogni mezzo», «con Hamas fino alla vittoria», «ora e sempre resistenza». Sono slogan che sentiamo nelle piazze di tutto il mondo alle manifestazioni contro Israele.

Per chi li inneggia possono essere innocua teoria, opinioni a favore della Palestina o semplicemente parole urlate per non sentirsi esclusi dal gruppo, non una chiamata alle armi per massacrare i presunti oppressori. Ma c'è sempre chi prende la teoria alla lettera. Domenica 14 dicembre, quegli slogan sono stati scritti con il sangue degli ebrei.

Un padre e un figlio pachistani hanno sparato sulla folla che celebrava il primo giorno della festa religiosa ebraica dell’Hanukkah su una spiaggia famosa per le nuotate al tramonto. Quindici morti e decine di feriti sono rimasti sulla sabbia a Bondi Beach, uno dei posti più belli, pacifici e gioiosi dell’Australia. Il primo ministro Anthony Albanese ha dichiarato che non riesce a spiegarsi tutto questo male. Io credo sia molto spiegabile: per gli invasati che considerano Israele il male assoluto, massacrare gli ebrei è fare giustizia.

È la colpa dei giudei che spinge giovani ProPal a saccheggiare la redazione del quotidiano La Stampa (paradossalmente uno dei più favorevoli alla causa palestinese). Induce quel centinaio di manifestanti a scrivere e urlare slogan terroristi come “Stampa-Morta” o «giornalista sei il primo della lista», mentre una loro guru, Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite, riduce l'assalto a un «monito ai giornalisti».

Nella tradizione ebraica, Hanukkah è la festa della luce, della speranza. Colpire bambini, anziani e adulti che festeggiano la vita non è diverso da quando il 7 ottobre i terroristi di Hamas fecero strage al Nova Festival. Sparare sulla spiaggia in un momento storico in cui c'è qualche passo verso la pace è voler cancellare la speranza nel futuro.

Eppure, ho ancora fiducia che l’umanità possa superare l’odio. Domenica 14 dicembre, in Australia, questa speranza aveva i gesti di un uomo: Ahmed Al Ahmed, fruttivendolo immigrato siriano, che si è precipitato su uno dei terroristi e gli ha strappato il fucile. Aveva le gambe di Jackson Doolan, il bagnino veterano della spiaggia, ex star di Baywatch in Australia, che è corso a piedi nudi per un chilometro e mezzo portando il borsone dei medicinali. Aveva le braccia di tutti coloro che si sono adoperati per salvare le vittime, sollevandole sulle tavole di soccorso che di solito vengono usate per trasportare la gente a riva.

Gli orrori si ripetono, sembrano non volersi fermare. Ma se le persone corrono ad aiutare, se ci sono solidarietà e compassione, c’è ancora speranza nell’umanità.

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Grazia è in edicola con Maya Hawke

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Ecco cosa vi aspetta nel nuovo numero di Grazia, da oggi in edicola e su app

Maya Hawke è la protagonista di copertina Grazia in edicola e app. Si è fatta conoscere con la serie Stranger Things, arrivata all’ultima stagione. Ora l’attrice newyorkese figlia delle star Uma Thurman ed Ethan Hawke, girerà il nuovo capitolo di Hunger Games dove vuole portare l’energia di chi non ha paura di crescere.

Questa settimana intervistiamo alcune icone di Hollywood. Incontriamo Zoe Saldana, al cinema nel ruolo di Neytiri, la madre combattente di Avatar. Parliamo con Ariana Grande, in corsa ai Golden Globe con Wicked e le attrici premio Oscar Jodie Foster e Laura Dern.

Il 2025 ha cambiato noi e la Storia. Grazia lo ripercorre. Dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca alla guerra a Gaza. Dalle vittorie di Jannik Sinner all’elezione del primo Papa americano fino alla scomparsa di icone come Ornella Vanoni e Giorgio Armani.

Grazia ha scelto i personaggi da tenere d'occhio nel 2026: le sciatrici Sofia Goggia e Lindsey Vonn attese alle Olimpiadi invernali, María Corina Machado, premio Nobel per la Pace che potrebbe cambiare le sorti del Venezuela, Lady Gaga in arrivo in concerto in Europa e molti altri. Da Can Yaman a Jacob Elordi, da Timothée Chalamet a Jeremy Allen White, che cos’hanno in comune i nuovi sex symbol? Mettono d’accordo mamme e figlie. Grazia ve li racconta.

Abiti dorati, trasparenze, ricami e dettagli preziosi. Grazia ha scelto i capi che ti rendono protagonista delle notti di festa e delle serate più speciali. Ma anche lo stile più cool per il 2026.

E nelle pagine dedicate alla bellezza trovate tutti i segreti per brillare: dalle strategie effetto freddo per una pelle più tonica alla scelta del fondotinta e del correttore giusti per illuminarla.

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Jodie Foster: "Faccio film per capire chi sono"

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Jodie Foster festeggia al cinema 60 anni da star. Nel thriller Vita privata, da oggi nelle sale, è una psicanalista tormentata. Ma a noi racconta come, grazie alla sua carriera, ha capito che le donne over 50 hanno tutte le carte per vincere

Come trascorre il giorno del suo compleanno una diva planetaria come Jodie Foster, sotto i riflettori dall’età di tre anni? «Lavorando», mi risponde accomodata sulla poltrona, mentre sorseggia un cappuccino. Neanche a farlo apposta la incontro proprio il giorno in cui compie 63 anni e mi confida che finita l’intervista andrà con gli amici a festeggiare. Sessant’anni di carriera tondi, fresca del Golden Globe vinto a gennaio per la sua performance nella serie True Detective: Night Country, la regista e attrice torna al cinema con il nuovo film di Rebecca Zlotowski Vita Privata. Presentato in anteprima al Festival di Cannes e dall’11 dicembre al cinema, la vede calarsi nei panni della nevrotica psichiatra Lilian Steiner, ossessionata da un caso molto delicato.

Che rapporto ha con il passare del tempo?

«Buono. Mi sento più felice che mai in vita mia».

Davvero?

«Parlo di una gioia profonda, non di quello che mi accade giorno per giorno. Le cose della vita, belle e brutte, capitano. Ma vivo un momento in cui il lavoro sta andando sempre meglio e ho superato l’ansia delle domande: “Sarò in grado di farcela con le mie forze?”, “Avrò una famiglia?”. Tutte questioni archiviate, per fortuna non devo più preoccuparmene. Da giovane passavo tanto tempo a pensare a me stessa, dopo una certa età mi sono concentrata sulle storie degli altri, è più facile e divertente».

Anche in Vita privata ascolta le storie degli altri.

«La mia Lilian non è una psichiatra risolta, anzi, è parecchio nevrotica. Non riesce a comprendere come sia possibile che la sua paziente in cura da nove anni (Virginie Efira, ndr) si sia potuta uccidere. Non ci crede, non ammette la possibilità che lei, in quanto psichiatra, sia stata così sorda».

Ritiene che come società abbiamo perso il potere di ascoltare?

«Mostrare curiosità verso gli altri è tutto. Noi attori siamo allenati all’ascolto, per lavoro siamo chiamati a calarci nelle vite degli altri ed è una bella abitudine mettersi nei panni altrui, un esercizio che possiamo fare tutti. Ci aiuterebbe come società».

Dal titolo del film alla realtà, essendo conosciuta in tutto il mondo sin da piccola come ha fatto a proteggere la sua, di vita privata?

«Sforzandomi sempre molto. Lavorando sin da bambina sapevo di dovermi proteggere: volevo andare a Disneyland, ma senza le telecamere che mi seguissero. Volevo essere libera di andare al supermercato, o prenotare un volo senza che nessuno lo facesse al posto mio. Ci ho sempre tenuto a mantenere viva la mia indipendenza, tracciando una linea netta tra la mia vita pubblica e quella privata. Oggi sono contenta di aver seguito quell’impulso».

Nel film la sentiamo sfoggiare un francese fluente…

«Mi fa sentire più sicura di me, rispetto all’inglese. Sarà che devo la passione per il francese a mia madre, che me lo fece studiare». 

Come mai?

«Non aveva mai viaggiato fuori dagli Stati Uniti fino ai cinquant’anni, ma la cultura europea l’affascinava. Comprava di continuo riviste e libri su Parigi e Napoleone, addirittura dipinse le pareti di casa con i colori delle antiche pietre romane. Quando ero bambina fece il viaggio dei suoi sogni e andò in Francia, con un tour in bus di quelli turistici».

Che cosa le disse al ritorno?

«"Jodie, impara il francese e diventa una grande attrice francese". Era il suo modo di dirmi che sognava per me una vita più ampia di quella americana. Anche perché erano gli anni 70, al potere c’era Nixon, non era facile essere americani. A mia madre piaceva l’idea che potessi scegliere di essere libera di inventarmi una vita tutta mia».

Ha fatto lo stesso con i suoi figli?

«Dovrebbe chiederlo a loro (Charlie e Kit, 27 e 24 anni, ndr). Intanto uno di loro sa parlare benissimo il tedesco, le mie radici tedesche ne sono contente».

Che rapporto ha con la psichiatria?

«Sempre stata scettica, ma una volta mi sono fatta ipnotizzare».

Com’è andata?

«Mi ripetevo: "Ma perché pagare 90 dollari a un tipo quando potrei smettere di fumare gratis oggi stesso?", eppure ha funzionato. Non amo la psicanalisi, per quanto la trovi attraente da un punto di vista cinematografico: non mi piace Freud, in America nessuno lo stima più, era un grandissimo sessista. Trovo però importante che al cinema si parli di salute mentale».

E che si mostri come le donne over 50 abbiano desideri, diritto al piacere e una vita sessuale appagante, come la sua Lilian con l’ex marito interpretato da Daniel Auteuil: perché tutto questo al cinema si vede ancora poco?

«Dovremmo parlare per ore della rappresentazione del corpo femminile. Purtroppo i pregiudizi sulle donne dopo una certa età sopravvivono, non solo al cinema. Ma sono speranzosa: registe come Zlotowski dimostrano di voler raccontare le donne per quello che sono, con tutti i loro desideri. La mia Liliane non è solo una psichiatra, una madre e una nonna, ma una donna che si esprime anche attraverso il  corpo».

Con Auteuil avete avuto un intimacy coordinator?

«È una figura che ho scoperto sul set di True Detective. Ho detto: "Che lavoro pazzesco, dov’eri tu quando avevo 16 anni?". Ormai io e Auteil abbiamo superato i 60 e abbiamo risolto senza, ma sono contenta che questa figura esista, era importante che ci fosse».

Che cosa di lei non hanno mai capito finora?

«Non sono seria come credono. Non ho mai capito perché il pubblico mi affibbi quest’aura di serietà, io sono una persona leggera. Certo, se mi fanno domande serie rispondo in modo serio e amo fare lavori significativi, ma se sapeste com’è la mia giornata ideale cambiereste idea».


Com’è la sua giornata ideale?

«Sveglia presto, sci ai piedi, la sera una partita di calcio in tv e una cena gustosa. Altro che tormentata, sono una persona felice e ottimista verso il futuro».

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Come trasformare l'eredità in un'opportunità per i propri figli

Elena Valzania x Alleanza
L'eredità di famiglia può assicurare un sostegno economico ai propri cari. Basta sottoscrivere una polizza di investimento adeguata, affidandosi a un bravo consulente

Elena Valzania ha 57 anni e vive a Ravenna, in una casa che ha ereditato dalla sua famiglia. Cresciuta in un contesto economicamente stabile, è stata segnata più di quanto pensasse da ciò che ha ricevuto in eredità: non solo beni, ma un intero modo di vivere e pensare il denaro. «I nostri familiari conducevano vite semplici, risparmiavano e investivano».

A un certo punto, la malattia entra nella sua storia familiare e si intreccia alle questioni economiche. Il padre di Elena si ammala gravemente, per poi morire quando lei ha 20 anni. Insieme con i beni materiali, Elena riceve anche un’eredità invisibile: l’idea che il lavoro debba essere per forza fatica. Un peso silenzioso che la accompagna a lungo, anche dopo la laurea in Farmacia, quando si avvicina all’omeopatia e inizia a lavorare. «Rispetto allo studio, lavorare mi sembrava facilissimo, ma proprio per questo mi pareva che non valesse abbastanza». E infatti, quando viene assunta in una cooperativa di Bologna, non negozia lo stipendio.

La sua carriera aziendale si interrompe durante la sua prima maternità: l’azienda viene acquisita e, al rientro dal congedo, capisce che stanno cercando di spingerla alle dimissioni.

Da allora, Elena non è più rientrata nel mondo del lavoro “ufficiale”. I soldi necessari ad andare avanti, però, in un modo o nell’altro, entrano. Ed Elena procede nella sua vita, con una leggerezza sconosciuta ai suoi familiari. Che le è concessa, però, anche grazie all’eredità materiale ricevuta da loro: «Mio marito e io abbiamo sempre avuto la mentalità di investire sulla nostra famiglia. Tuttora siamo concentrati sul mantenere i nostri tre figli agli studi e i beni di famiglia sono un mezzo per sostenere questa nuova generazione».

Parola all'esperta: le polizze come strumento di tutela

RISPONDE ELENA BELLUCCI DELL’AGENZIA ALLEANZA DI EMPOLI (FI)

1) Come si gestisce un’eredità ricevuta?
«Ricevere un’eredità può risultare persino destabilizzante, specie se si tratta di grandi somme, e senza una gestione attenta il rischio è di sperperare il patrimonio o di non trarne vantaggio. È insomma necessaria un’attenta pianificazione che parta dai bisogni dell’individuo o della famiglia, ragione per cui può essere molto utile affidarsi a un buon consulente assicurativo e finanziario. Tra le soluzioni possibili ci sono le polizze di investimento, che combinano l’opportunità di investimento con la componente assicurativa, che offre una protezione sul capitale o sul rischio di vita. Ne esistono di diversi tipi: con quelle a capitale garantito, per esempio, si ha la certezza che il capitale che sarà restituito all’uscita dall’investimento non sarà inferiore a quello versato».

2) Che vantaggi hanno, rispetto alle altre soluzioni? 
«Le polizze da investimento sono nate per chi desidera assicurare un sostegno economico ai propri cari, anche in caso di decesso, con l’aggiunta di un rendimento. Offrono però anche altri vantaggi: uno dei più importanti sta nel fatto che il capitale così collocato non rientra nell’asse ereditario e non viene considerato nel calcolo dell’eredità ai fini della tassa di successione. In caso di morte del contraente le somme passano al beneficiario, nel rispetto delle quote di eredità legittime disponibili, e questo rende la polizza un ottimo strumento per tutelare le coppie non sposate o i minori».

Testo di Annalisa Monfreda
*co-fondatrice di Rame, rameplatform.com