L’abbiamo vista combattere nella saga di Hunger Games ennella serie tv Il trono di spade. Ora Natalie Dormer, premiata da Max Mara comenattrice del momento, è la star che tutti vogliono. Merito anche, come raccontana Grazia, di un fidanzato che le ha insegnato a correre le maratone e a nonnavere mai paura di diventare una diva
nnnnnn«Mi piace correre e mi piace immergermi nell’Oceano», mi risponde Natalie Dormer aprendosi in un sorriso solare quando le chiedo che cosa fa per rilassarsi. Questo è stato l’anno più intenso della sua carriera. E se “per rilassarsi” ha partecipato alla maratona di Londra, portandola a termine in meno di quattr’ore, traguardo non da tutti, prima è stata una delle protagoniste della saga cinematografica Hunger Games e poi la controversa regina Margaery Tyrell che ha animato l’ultima stagione della serie tv di culto Il trono di spade.
«La corsa mi ha insegnato a lavorare sodo per i miei traguardi e a non lasciarmeli scappare. Posso allenarmi anche per diverse ore di seguito. Entro in una specie di stato meditativo, mi concentro molto su me stessa. E, quando ho finito, mi sento la forza per affrontare qualunque sfida». Non sorprende quindi che sia andato a questa attrice britannica di 34 anni il Women in Film Max Mara Face of the Future Award, il premio che la maison italiana di moda dedica ogni anno all’attrice più promettente del momento e che in passato è stato assegnato a dive come Kate Mara, Emily Blunt (vedi anche pagina 72), Rose Byrne, Zoe Saldana o Katie Holmes.
Natalie Dormer è la classica bionda con la faccia giusta per i film epici e in costume: «Sono affascinata dalle donne di potere, dai personaggi che, come Anna Bolena nella serie televisiva I Tudors, trasformano la loro forza in sensualità. In realtà io sono molto diversa, schiva. Chissà, forse a forza di accettare queste parti diventerò anch’io una grande seduttrice».
Dormer è anche la classica bellezza inglese che funziona nei thriller e negli horror come ha dimostrato qualche mese fa in The Forest: «Sono una fifona, però. Quando si facevano le feste tra adolescenti e qualcuno proponeva un film da brividi, io ero quella che si nascondeva nel sacco a pelo. E ancora oggi faccio fatica a rivedere certe scene, anche se sono io la protagonista».
L’attrice ha appena firmato il contratto per Official Secrets dove interpreterà la vera storia di Katharine Gun, l’agente dei servizi segreti inglesi che ha avuto il coraggio di denunciare pesanti irregolarità sull’invasione in Iraq del 2003 da parte degli Stati Uniti. Accanto a lei ci saranno Anthony Hopkins e Harrison Ford. L’occasione giusta, insomma, per cominciare a correre davvero, questa volta non in una maratona sportiva, ma dritta sul podio degli Oscar o dei Golden Globe.
L’incontro con Natalie è fissato nella sua suite dell’hotel Four Seasons di Beverly Hills. In realtà l’avevo conosciuta alla festa in suo onore organizzata da Max Mara allo Chateau Marmont, il leggendario hotel nel cuore di Hollywood, ed ero già stato conquistato dalla sua classe, ma anche dalla sua semplicità.
«Questo è davvero un periodo felice, per me, ma anche di superlavoro. A essere sincera non vedo l’ora di farmi una vacanza con Antony (Byrne, il regista e sceneggiatore irlandese suo compagno da nove anni, ndr). Con lui mi alleno sempre per le maratone e mi piace fare immersioni subacquee».
Mi piace ascoltare Natalie mentre parla. Il suo è un inglese pulito, chiaro, ma allo stesso tempo ha un tono di voce delicato e avvolgente. Non ha nulla di “posh”, vale a dire di quegli snobismi tipici dell’alta società inglese, che di solito vengono ridicolizzati con l’espressione “plum in the mouth”, cioè parlare con la prugna in bocca.
La mia osservazione fa molto ridere Natalie, che però apprezza il mio complimento. «Non c’è nulla di “posh”, snob o costruito nella mia vita», mi spiega l’attrice. «Vengo da una normale famiglia di Reading, alla periferia di Londra, e mi sono mantenuta per i tre anni in cui ho frequentato l’accademia di arte drammatica facendo la segretaria, la cameriera e la maschera a teatro. Questa dizione che lei giudica perfetta, l’ho imparata da mio nonno».
Era anche lui un attore?
«No, ma era affascinato dalla mia voglia di raccontare storie e di trasformarmi, fin da quando ero piccola, in personaggi che prendevano vita, prima di tutto, nella mia immaginazione. Io ci tenevo moltissimo e lui mi ha aiutato a crederci e a interpretarli in maniera credibile. Nel tempo libero faceva il falegname e mi ha costruito una sorta di armadio portatile dove tenevo tutti i miei costumi e i trucchi per gli spettacoli».
Com’è la sua famiglia, ha fratelli e sorelle?
«Sono cresciuta come figlia unica fino ai 7 anni e mezzo. Poi sono arrivati mio fratello e mia sorella, che sono diventati anche il mio primo pubblico. Recitare è sempre stato un grande desiderio. E la prima volta che sono stata davvero convinta di averlo realizzato è stato quando mi hanno dato la parte di Peter Pan a scuola. Avevo 8 anni e ricordo ancora, come fosse ieri, la calza maglia verde scuro e l’applauso della mia classe».
Il premio di Max Mara che ha ricevuto sembra proprio la conferma che la recitazione era la strada giusta.
«È vero, in questo momento della mia carriera, questo riconoscimento è un piccolo grande regalo che dà valore a tutto il lavoro che ho svolto finora. Infatti mi sono commossa quando mi hanno chiamata per assegnarmelo. Mi sento davvero in un momento cruciale della mia vita professionale. Mi sono sempre messa alla prova con parti diverse e ho cercato di scoprire nuove emozioni e personaggi complessi. E adesso raccolgo i frutti del mio impegno. Non c’è dubbio: è molto gratificante quando qualcuno si accorge di te».
Nel suo caso, è stato addirittura un grande marchio del made in Italy. Conosceva lo stile Max Mara?
«Certamente perché riflette la mia idea di moda. Mi piace l’eleganza naturale e mai esasperata di questo marchio: indossi una giacca o un cappotto ben tagliati e il gioco è fatto. Sono una ragazza londinese, adoro tutti gli abiti sartoriali, come quelli di Vivienne Westwood o Alexander McQueen. Penso che gli italiani e gli inglesi abbiano tanto in comune, a partire dall’amore per la costruzione di vestiti impeccabili. Quando porti questi capi basta aggiungere un tocco personale, un dettaglio creativo e sei già perfetta».
A proposito di “su misura”, tra i suoi progetti c’è anche quello di girare un film scritto, diretto e costruito dal suo compagno intorno a lei. Una bella dichiarazione d’amore, non trova?
«In realtà si tratta di un copione che abbiamo elaborato insieme, sei anni fa. È stato un tentativo di trovare qualcosa da fare, io come attrice e lui come regista, in un momento in cui nessuno ci proponeva qualcosa d’interessante. Così, invece di lamentarci, ci siamo messi al lavoro su qualcosa che ci piacesse e ci soddisfacesse. E comunque è stato un viaggio davvero eccitante, una vera scuola di vita entrare nel mondo delle produzioni indipendenti. Ho imparato molte cose nuove, incontrato gente che ama veramente il cinema. E in più lavorare su un copione mi ha aiutato a capire meglio gli attori, mentre Anthony mi ha spiegato di che cosa hanno davvero bisogno i registi. Il film s’intitola In Darkness e la mia è la parte di una musicista cieca che una sera sente commettere un omicidio nell’appartamento sopra il suo».
Mi ha fatto venire in mente La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock.
«È esattamente il tipo di effetto che vogliamo ottenere. Ci piacerebbe girarlo come un film noir, come un classico thriller. Anthony è un grande appassionato di cinema e vogliamo riproporre quel genere di storie che anche nel cinema inglese sembrano tristemente scomparse».
Che film guardava da ragazza?
«Non sono diventata attrice pensando di avere successo al cinema. Ho sempre preferito il palcoscenico, il teatro di William Shakespeare. Queste sono le mie più grandi passione. Anthony, invece, ama il cinema fin da quando era bambino ed è stato lui a farmi scoprire questo mondo. In qualche modo ci educhiamo a vicenda. Lui mi ha insegnato quanto importante sia il lavoro dietro la cinepresa».
Quando vi siete conosciuti?
«Nove anni fa mentre giravo I Tudors agli Ardmore Studios di Dublino. Gli stessi tecnici di scena sarebbero andati a lavorare per un suo film subito dopo e Antony era venuto sul set per incontrarli. Parlava un irlandese così stretto che non capivo una parola, ma l’attrazione è scattata subito. E da allora non ci siamo più lasciati».
Amore a prima vista?
«Può dirlo forte, ma agli inizi avevo bisogno di un traduttore. Non sto scherzando».
Qual è il vostro posto ideale per un weekend?
«Venezia: è una città che mi sta a cuore perché là ho girato il film, Casanova. Era il mio primo vero lavoro e ho un ricordo indelebile di quelle riprese in costume, in piazza San Marco o in giro per calle e campielli in laguna».
È stato su quel set che ha capito di essere un’attrice adatta al grande schermo?
«No, lì ho scoperto, invece, il caffè. Tutti quelli della troupe non facevano che berne una tazzina dopo l’altra. Non avevo mai sentito parlare di espresso, ma da allora ne sono dipendente. Come abbia fatto a frequentare tre anni di scuola drammatica senza un espresso ancora non me lo spiego».
Lei per sei anni ha fatto la parte della regina: una donna scaltra, intelligente, machiavellica. Le manca la serie tv Il trono di Spade?
«Certo. Anche perché è una di quelle in cui tutto può succedere, oltre ogni immaginazione. E questo, come aveva capito mio nonno, e come mi ha insegnato il mio uomo, è la vera molla che mi spinge ad accettare ogni sfida».
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