Miriam Dalmazio: «Sono una rossa che andrà lontano»
È la nuova rivelazione del Commissario Montalbano. Palermitana, ma l’opposto di quella che vedrete in tv. Perché Miriam Dalmazio non è la classica ragazza che sogna di essere moglie e madre di famiglia.
Ha un progetto che la porterà presto dall’altra parte del mondo
«Ho un rapporto terribile con il tempo. Non solo detesto arrivare in ritardo, anche la puntualità mi trasmette ansia. Io vivo in anticipo. Sempre». Comincia così l’intervista a Miriam Dalmazio, giovane attrice amata da Ettore Scola, che l’ha voluta in Che strano chiamarsi Federico, dai fratelli Paolo e Vittorio Taviani (Maraviglioso Boccaccio), da Giovanni Veronesi (Una donna per amica) e Checco Zalone, che l’ha scelta come coprotagonista nel suo film Sole a catinelle.
Carnagione chiara e lunghi ricci rossi, Miriam ama scherzare e ridere di se stessa anche quando le dicono che sembra uscita da un quadro di Botticelli. E anche se a dirglielo è una collega, Elena Sofia Ricci, fatto abbastanza raro nel mondo dello spettacolo dove, notoriamente, la competizione è spietata. «Sono un po’ antica nell’aspetto, in effetti. Non ho certo un fisico magrolino e poi ci sono questi miei capelli rossi. Per anni guai a tagliarli, sarebbe stato come togliermi la forza, facevano parte della mia identità. Adesso, se servisse per un copione, li raserei a zero», spiega. Miriam Dalmazio è passata dalla soap opera Agrodolce, ai serial tv e al cinema. Alternando ruoli comici ad altri drammatici. Al momento, sta terminando le riprese della fiction di Canale 5 Distretto di polizia, la vedremo nel film di Cristiano Bortone Caffè e in tv come protagonista della prima puntata di Il commissario Montalbano, il 29 febbraio, su Rai Uno.
Qual è il suo personaggio?
«Sono la tipica donna siciliana, moglie e madre di famiglia. Esattamente l’opposto di quello che sono io. Mi considero una palermitana “sui generis”. I ritmi lenti e pigri della mia terra non mi appartengono più. E non mi ritrovo nemmeno in una certa mentalità che riconosce il ruolo femminile soprattutto all’interno del matrimonio».
A 21 anni si è trasferita a Roma per frequentare il Centro sperimentale di cinematografia. È stato facile lasciare la Sicilia?
«Assolutamente no. Sono cresciuta con una sorella, due fratelli, i miei genitori: i primi tre mesi a Roma, da sola, sono stati tremendi. Passavo le notti a piangere. Mi mancava tutto. Ma è stato un distacco necessario. La maggior parte dei giovani siciliani cercano di costruirsi un futuro altrove. Anche uno dei miei fratelli si è trasferito a Parigi, lì ha trovato un lavoro, si è sposato e ha avuto due bambini».
Per lei che cosa significa sentirsi realizzata come donna?
«Glielo dico in tre parole: fare mille film. Diventare sempre più brava nel mio lavoro: questo per me significa sentirmi realizzata. L’affermazione personale viene prima di tutto, anche dell’amore».
Lei è innamorata?
«Sì. Lui si chiama Paolo, ha 40 anni e un albergo su una piccola isola vicino a Bali. Il posto ideale dove essere felici. Ma io ho bisogno di sentirmi indipendente, di seguire la mia strada, a prescindere dall’uomo che mi sta accanto».
Vivete un amore a distanza?
«Non proprio. Lui va in Indonesia qualche mese all’anno e io, quando posso, lo raggiungo. Fosse per me viaggerei continuamente. È la mia grande passione. Dopo la recitazione, naturalmente».
Quando si è detta: io diventerò un’attrice?
«Da bambina. Ma sognavo in silenzio. Non mi azzardavo a dirlo a nessuno, anzi, per anni non l’ho detto neanche a me stessa. Avevo il senso del limite anche da piccola, mai stata né scatenata né spensierata. Ero una ragazzina con la testa sulle spalle, riflessiva, misurata. Mia madre e mia sorella mi prendevano in giro, mi dicevano: “Pensi come una vecchia”».
Come si ricorda Ettore Scola, il grande regista recentemente scomparso?
«Avere nel curriculum un’esperienza con lui è privilegio di pochi, ne sono consapevole. L’ho incontrato a Cinecittà, al mitico Teatro 5 (il teatro di posa più grande d’Europa dove girava i suoi film Federico Fellini, ndr). Il bastone, la sigaretta elettronica e il fascino di un vero maestro. Nel film Che strano chiamarsi Federico io recitavo la parte della cassiera e a un certo punto ho pensato di controllare che i soldi dei clienti non fossero falsi, guardandoli in controluce. Non era previsto dal copione, ho improvvisato. E da quel momento Scola mi ha preso in giro come “quella attaccata ai soldi”. In realtà, non è così. Sono nata sotto il segno della Vergine: oculata sì, ma taccagna proprio no».
Di Raoul Bova, con il quale ha recitato nella serie tv Come un delfino, ha detto: “È una statua con gli occhi di velluto”. È lui il partner più affascinante che abbia incontrato sul set?
«Raoul mi piace molto. Ma trovo bellissimo anche Kim Rossi Stuart, con il quale ho girato Maraviglioso Boccaccio. Bellissimo, sì, ma complicato».
Se potesse esprimere un desiderio, che cosa chiederebbe?
«Di essere diretta da Quentin Tarantino. Un genio».
È vero che non frequenta mai suoi colleghi perché li trova noiosi?
«L’ho detto. A volte sono cattiva e dico cose di cui poi mi pento. Adesso è il momento di fare un atto di autocritica. Io sono un orso. È vero che gli attori tendono a parlare solo di cinema, ma io sono troppo chiusa, quando vado alle feste mi manca l’aria e mi viene voglia di scappare. La colpa è mia».
Eppure Checco Zalone l’ha scelta proprio per la sua vena comica: la capacità di far ridere non è cosa da poco.
«Non sono una persona particolarmente spiritosa. Mi modello secondo il mio interlocutore: sono una donna dalle molte personalità».
Ce ne sarà una predominante.
«Sono malinconica. Anche se in ogni momento riesco sempre a scorgere il lato ironico, la leggerezza. E questo mi salva».
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