Mi ero innamorata di un truffatore

Le chiamano truffe affettive o amorose, ma di questi sentimenti, da parte di una delle persone che le realizzano, non c’è traccia. Ci sono, invece, opportunismo, cattiveria, sete di denaro a ogni costo e nessun rimorso.
Grazie al documentario da poco su Netflix, Il truffatore di Tinder, che racconta le gesta di un finto rampollo di una famiglia ricchissima che, ingannando diverse ragazze, riesce a condurre una vita sfarzosa a loro spese, si sta tornando a parlare insistentemente del fenomeno conosciuto all’estero come “catfishing”, che significa letteralmente “pescare con il pesce gatto”, ovvero persona che inganna usando un’identità fittizia.
Questi raggiri sono diffusi anche nel nostro Paese e, nonostante ognuno sia diverso, dai racconti di chi li ha subiti si percepisce lo stesso modo di agire: una persona ne adesca un’altra online grazie a un’identità falsa, la lusinga, si trasforma nel partner perfetto e, quando ne ha carpito la fiducia, inizia a chiedere, e molto spesso ottenere, denaro.
È successo ad Alessandra, professoressa di Milano, bellissima e colta. La sua storia è recente, visto che la persona a cui era stato rubato il profilo social per truffarla è tornata in possesso della propria identità virtuale solo alcune settimane fa. Le indagini sono in corso e lo shock è ancora molto vivo, proprio per questo la vittima non se la sente di esporsi totalmente
«Tutto è iniziato con una richiesta di amicizia su Facebook da parte di un bell’uomo che si era spacciato per imprenditore edile», racconta Alessandra. Dopo alcuni mesi di idillio in cui, pur non essendosi mai visti, fantasticavano di una vita insieme, è arrivata la prima richiesta di soldi. «Mi ha parlato di problemi con alcune forniture per cantieri all’estero, di conti correnti bloccati e di rischio di chiusura delle sue attività, se non lo avessi aiutato. Sembrava tutto reale e alla fine gli ho dato 150 mila euro in dieci mesi».
A spezzare l’incantesimo è stata la tv.
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Testo di Alessia Ferri
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