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«Meloni, Trump e il virus dell’odio»: l’editoriale di Silvia Grilli

«Meloni, Trump e il virus dell'odio»: l'editoriale di Silvia Grilli

foto di Silvia Grilli Silvia Grilli — 18 Settembre 2025
Silvia Grilli
Il nuovo numero di Grazia è ora in edicola. Ecco l'editoriale della Direttrice Silvia Grilli

Dice Donald Trump che l'odioso omicidio di Charlie Kirk lo riempie di rabbia e dà la colpa alla sinistra radicale. Giorgia Meloni prende spunto dall'attentato americano per evocare nemici e dichiara che il sacrificio di Kirk le ricorda ancora una volta da che parte stiano la violenza e l'intolleranza: sempre a sinistra.

Ma negli Stati Uniti, come in Italia, un presidente e una premier dovrebbero unire, non dividere. Abbiamo già troppa disumanità in questo tempo. Dalla violenza verbale a quella fisica il passo è breve.

Lei non dovrebbe essere una leader per tutti gli italiani e lui per tutti gli americani? Invece, in una nazione completamente lacerata, dopo l’omicidio dell’attivista conservatore Trump ha attaccato ancora una volta ferocemente metà dei suoi cittadini, invocando la vendetta. Giorgia Meloni lo ha seguito.

Tralasciando il fatto che in America il 78 per cento degli attentati è compiuto da estremisti di destra e in Italia se la giocano equamente tra destra e sinistra, comportarsi da leader solo di una parte fomenta altro odio.

Lo dico per Trump, che ha fatto della morte di Kirk l’ennesimo manifesto di guerra contro tutti quelli che non la pensano come lui. Ma lo dico anche per Meloni: che bisogno c’è di soffiare sul fuoco come se fosse solo una leader dell’opposizione che si prepara alle elezioni nelle Marche?

La verità è che, purtroppo, non possiamo più ragionare come dopo l’attentato di Oklahoma City quando Bill Clinton chiese a tutta la nazione, senza distinzione di idee politiche, di piangere per le vittime. Non siamo neppure più ai tempi delle Torri Gemelle, quando ci sentivamo tutti americani.

Oggi sui social media hai successo solo se ti costruisci un nemico e sia Meloni sia Trump sono abilissimi nel farlo, convogliando consenso e traffico nelle loro campagne elettorali perenni su Instagram o Truth.

Prima della sua morte, seguivo Charlie Kirk e non condividevo nulla di ciò che diceva. Simbolo dell’America nazionalista e cristiana, l’attivista sosteneva che se sua figlia fosse stata stuprata avrebbe dovuto tenere il bambino; che Taylor Swift dovrebbe rifiutare il femminismo e sottomettersi al marito; che alcune prominenti donne nere, tra cui Michelle Obama, non hanno un cervello da prendere sul serio; che il presidente Joe Biden meritava la pena di morte.

Mi faceva stare male quando, durante i suoi dibattiti nei campus, chiedeva di definire che cosa significhi essere donna e ammoniva i maschi a non fidanzarsi con ragazze libere. Però aveva il merito di portare le sue idee a cielo aperto, nelle università, nei dibattiti televisivi, esercitando quella libertà di pensiero di cui era uno strenuo difensore. Era un maestro del conflitto politico, congegnato per ottenere il massimo di visualizzazioni.

È stato assassinato con un colpo di fucile mentre in un campus aveva appena risposto a una domanda sulle armi e sui transgender. Per quanto le idee di qualcuno possano essere insopportabili, non sono mai una giustificazione per ucciderlo.

Tyler Robinson, il killer di Kirk, è un giovane bianco americano così cronicamente connesso ai social media e ai videogiochi da non distinguere più tra vita fisica e virtuale. È cresciuto in una famiglia di mormoni, elettori repubblicani di Trump, che l’avevano addestrato a usare i fucili sin da piccolo.

È stato il padre a convincerlo a consegnarsi alla polizia dopo l’omicidio. Robinson conviveva con un ragazzo in transizione dal sesso maschile a quello femminile, che era sconvolto dall’attentato e ha collaborato pienamente con le indagini.

Spencer Cox, governatore repubblicano dello Stato dello Utah dove è avvenuto l’omicidio, ha dichiarato che, dopo aver abbandonato l’università, le idee dell’assassino si sono radicalizzate a sinistra mentre la sua vita sociale si è ridotta a nulla.

I vicini raccontano che dall’appartamento della coppia si sentiva sempre provenire il rumore dei videogiochi. Le iscrizioni sulle cartucce del killer sono tutte riconducibili a citazioni da meme e videogame, compresa la scritta in italiano “Bella ciao” che, dopo la serie La casa di carta, ha perso tutta la sua connotazione di canzone degli antifascisti italiani per diventare l’inno dei ribelli di Far Cry 6, e viene citata da giovani attivisti sia di estrema destra sia di sinistra.

«Non avete idea di che cosa avete scatenato qui in America e nel mondo con l’uccisione di mio marito», ha detto Erika Frantzve, la vedova di Kirk. Ha ragione. I meme e la violenza continueranno a proliferare sui social in un’epoca dove l’online e la vita fisica sono ormai indistinguibili.

L’America è attraversata da divisioni e odio che il presidente continua ad alimentare per nutrire il suo potere. Gli Stati Uniti hanno bisogno di ricompattarsi, altrimenti rischiano seriamente la guerra civile.

Non emuliamo questo soffiare sul fuoco. Potrebbe essere pericoloso anche per noi. Finora ci è andata bene. Ma solo perché abbiamo avuto fortuna.

© Riproduzione riservata

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