Matilda Lutz: «Quando recito niente mi fa paura»
Lo sguardo rilassante con cui mi accoglie Matilda Lutz all'inizio della nostra intervista non ha nulla a che fare con quello smarrito nell'angoscia con cui si apre la prima scena del suo ultimo film da protagonista, A Classic Horror Story, diretto da Roberto De Feo e Paolo Strippoli, vincitore del primo premio per la migliore regia alla 67esima edizione del Taormina Film Festival.
Prodotto da Netflix, da qualche giorno è sulla piattaforma ed è un omaggio alla tradizione del genere horror: un film sorprendente e dissacrante, con un finale inaspettato.
È la storia di cinque ragazzi che usano il car-sharing per un viaggio, ma si ritrovano in mezzo a un bosco a causa di un incidente. La strada è stranamente scomparsa nel nulla e davanti a loro c'è solo una casa abitata da presenze malefiche che torturano e fanno sacrifici.
Un mondo completamente diverso da quello in cui è immersa oggi Matilda. Il suo sa d'infanzia e di affetto. «Sono in Puglia, nel luogo dove trascorrevo le vacanze da piccola», dice l'attrice italo-americana, 29 anni, due immensi occhi blu. «La mia mamma veniva qui con un'amica di Modena e la sua famiglia. Io e la mia amica Giulia siamo quindi cresciute insieme e siamo tornate qui con i nostri figli. Fa bene al cuore pensare che questo è il "nostro" posto e che anche i nostri figli cresceranno uno accanto all'altro. Qui c'è la spiaggia, dove giocare a racchettoni, ma da piccola amavo soprattutto avventurarmi nella "giungla", una scogliera naturale in mezzo alla macchia mediterranea».
Cominciamo dalla sua infanzia: com'era da piccola?
«Una bambina timida e molto maschile. Sono cresciuta con tre fratelli maschi, tra snowboard, skateboard, boxe. Il mio look preferito per andare in skate era però un mix di stili: gonna di seta sotto il ginocchio, che mi comprava papà, cappello da pescatore e scarpe da ginnastica. Ricordo che amavo travestirmi in continuazione: c'è un video in cui interpreto una cowgirl che canta e balla. Un altro in cui allestisco a casa spettacoli di magia, ovviamente facendo pagare il biglietto».
È cresciuta in una grande famiglia?
«Una famiglia allargata. Mia madre e mio padre si sono sempre occupati di moda, lui è fotografo, lei ha un'agenzia di comunicazione. Dalla loro unione siamo nati io e mio fratello Martin. Poi si sono separati e papà è tornato nel suo Paese, gli Stati Uniti. Quando si è risposato, la sua compagna aveva già un figlio di 3 anni e insieme hanno avuto un bambino. Ogni estate noi quattro fratelli passavamo le vacanze negli Hamptons, a New York, a Miami o a Philadelphia, dai nonni. Insomma, eravamo una grande tribù, mentre il resto dell'anno io e Martin stavamo a Milano con la mia mamma».
L'oggetto che conserva dell'infanzia?
«Tre album fotografici che mi ha fatto papà. Alla fine di ogni estate, ogni volta che tornavamo a casa dagli Stati Uniti, ce ne dava uno pieno di foto fatte insieme, biglietti dei musei che avevamo visitato, scritte affettuose».
Dove li tiene oggi? Non ho ancora capito dove vive.
«Neanche noi lo abbiamo capito perché siamo sempre in giro, ma in realtà adesso abbiamo preso una casa a Milano. La pandemia mi ha fatto molto riflettere. Mi sono chiesta: se non posso più viaggiare, dove vorrei stare? La risposta è l'Italia, il Paese più bello del mondo. Io, Antonio (Folletto, marito di Matilda, ndr) e nostro figlio Oliver (2 anni, ndr) abbiamo rischiato di rimanere separati per tre mesi nel primo lockdown: ad Antonio avevano cancellato il volo Napoli-Roma e, se non avesse preso un'auto a noleggio di corsa, non avrebbe mai preso l'ultimo volo per Los Angeles. La nostra priorità è la felicità di Oliver e quindi stare tutti uniti. Sono cresciuta a Milano, sono scappata perché non ne potevo più, ma adesso torno in questa città perché mi sono accorta che la amo ed è in grande crescita: ci si vive bene».
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