di Claire Berest
L'intreccio delle consonanti del suo cognome è unico. “Vacth” potrebbe essere il nome di una specie di fiore raro, uno di quelli che crescono all’ombra delle rocce nordiche. Marine Vacth, 29 anni, è invece prima di tutto un’attrice molto amata. A soli 22 anni, in Francia è entrata prepotentemente nell’Olimpo delle icone di bellezza inarrivabili come Brigitte Bardot, Monica Bellucci o Marilyn Monroe. Con il film Giovane e bella, diretto nel 2013 da François Ozon e in cui veste i panni di un’adolescente che si prostituisce per noia, ha raggiunto una meritata consacrazione. Come le sue straordinarie colleghe già nel mito, appartiene a quel genere di attrici la cui bellezza che buca il grande schermo irrompe nell’immaginario come un fiume in piena. Sono creature che sembrano arrivate dal nulla e calcano i set cinematografici come se li conoscessero da sempre, incarnando i personaggi femminili più torbidi con selvaggia perfezione.
Marine non ha frequentato l’Accademia d’arte drammatica. Scoperta giovanissima da un agente di modelle, nel 2011 si ritrova di fronte alla cinepresa di Cédric Klapisch per uno di quegli strani, ma imprevedibili giochi del destino: il regista voleva infatti una vera modella per interpretare la protagonista del suo film Ma part du gâteau.
Ed ecco che il dado è tratto. La storia ha inizio. Che cos’ha provato durante questa prima esperienza cinematografica?
Durante la nostra conversazione, lei più che altro insiste molto sull’importanza del lavoro di squadra, un punto fermo più che mai indispensabile ora che il cinema dovrà ripartire dopo i mesi di blocco causati dall’emergenza coronavirus.
È proprio questo l’aspetto più prezioso di Vacth: la sua reticenza nasconde il tentativo di esprimere il più correttamente possibile sentimenti ambivalenti. Non è una di quelle attrici che si presentano all’intervistatore come un meccanismo rodato. Marine sembra appartenere al gruppo di artiste che mantengono le distanze dalla vita dei personaggi che incarnano. Ci sentiamo come marinai che navigano senza bussola tra le donne ambivalenti a cui dà voce. Come la Isabelle di Giovane e bella, la liceale sfrontata e glaciale che si prostituisce tra una lezione e l’altra, o la Chloé raccontata nel 2017 da François Ozon in Doppio amore, che si getta tra le braccia dei suoi fratelli diabolici.
Nel mondo la conosceranno presto anche in Pinocchio, il fiabesco film di Matteo Garrone nelle sale italiane già in dicembre, premiato agli ultimi David di Donatello, ma la cui uscita all’estero è stata rimandata a causa della pandemia. Marine interpreta l’inquietante fata dai capelli turchini e dagli occhi neri che veglia sui bambini e li punisce pur di condurli sulla buona strada. Vacth sembra passare senza difficoltà dai panni di una fata barocca al ruolo di ambasciatrice Chanel. Mi parla del rapporto di fedeltà che la lega alla maison, per lei molto più di un marchio, ma una vera e propria famiglia che esalta e valorizza l’idea di una donna libera. Quando si sofferma sugli aspetti tecnici del suo lavoro mi spiega che «una scena di sesso è come attraversare una cascata dirompente», e aggiunge che «la nudità alla fine è un costume come tanti altri».
Marine Vacth è assente dai social, perché, dice, «non ho voglia di essere strumentalizzata dai terremoti che sconvolgono il mondo del cinema». Il riferimento è all’ultima cerimonia, in febbraio, dei César, gli Oscar del cinema francese, e alla bufera di critiche che hanno accompagnato la premiazione di Roman Polanski per il film L’ufficiale e la spia (il regista, 86 anni, è stato contestato per le accuse di molestie e stupro da anni a suo carico, ndr). Marine Vacth dice di essere «dalla parte delle donne che si mettono in gioco in prima persona per esprimere indignazione».
Marine è anche un mistero. Potrei delinearne il ritratto raccontando che ha un figlio (Henri, 6 anni, avuto dal fotografo Paul Schmidt, ndr) o, ancora, che è scoppiata in una risata quando ha dovuto girare per Ozon una scena di “sventramento” degna del cult di fantascienza Alien. Alla fine dell’intervista prima di tornare ciascuna alla propria vita, si avvicina e mi dice sorridendo: «Adesso potremmo parlare davvero». Ha ragione: siamo due giovani donne, avremmo tanto da raccontarci. Per il momento, però, cara Marine, è stato un piacere mantenere quasi intatto il suo mistero.
Articolo pubblicato sul numero 24 di GRAZIA (28 maggio 2020)
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