Per una scrittrice che sente di possedere desiderio e capacità di intraprendere una carriera nell’editoria, avere un passato da fashion blogger è l’equivalente di una fedina penale sporca

E seppure il mio blog sia sempre stato atipico, di fatto è nato come uno di moda e non si fanno sconti a quelle come me. L’ho scoperto pian piano e non sono stati solo i luoghi comuni che penalizzano questa categoria a darmi filo da torcere, ma pure gli addetti ai lavori, che di fronte all’associazione delle parole ‘fashion’ e ‘blogger’, hanno sempre reagito con una smorfia.
Il primo fu il mio coach di scrittura.
Me lo aveva consigliato la editor di una famosa casa editrice, al tempo interessata ai miei scritti; disse che il mio era un talento e che se lo avessi affinato, saremmo riuscite a pubblicare una versione rivisitata del mio manuale dedicato alle mamme in pochi mesi. Accettai.
Ma quando lei lo chiamò entusiasta per propormi, lui lo fu un po’ meno.
“Ma è una fashion blogger? Come puoi chiedermi di insegnarle a scrivere?”
“Questa la devi leggere. Devi fidarti di me.”
Stefano è uno scrittore importante, uno dei traduttori più quotati in Italia, scrive gialli e ama Stephen King. Il suo romanzo di punta, pubblicato da Einaudi, è diventato un film, il cui cast vanta i nomi di Stefano Accorsi, Valeria Solarino, Filippo Timi, Valerio Mastandrea.
Cosa poteva azzeccarci con una come me?
Gli mandai la bozza del mio manuale e una versione romanzata che avevo iniziato a scrivere più per divertirmi che per dimostrare di esserne capace. Aspettai, lui lesse, mi chiamò.
Accettò di insegnarmi per la seconda proposta: era rimasto colpito dal mio modo di raccontare.
Decidemmo di scrivere qualcosa di diverso: ogni capitolo del manuale sarebbe stato preceduto da una parte romanzata. La mia esperienza personale accompagnata alle conclusioni generali che ne avevo tratto.
Facevamo lezione due volte a settimana.
Io scrivevo il capitolo, lui annotava le sue considerazioni sul lato destro di Word e insieme discutevamo le eventuali modifiche. Ma c’era una cosa che non riuscivo a spiegarmi: come potevamo essere due scrittori così diversi e avere una grande sintonia?
I miei testi stavano ai suoi, come quelli di Justin Bieber a quelli di Mia Martini, ma nonostante gli stili fossero differenti, il suo non aveva mai influenzato il mio: era rimasto il solito di sempre.
Amavo vederlo divertirsi mentre leggeva: se rideva uno scrittore di gialli, avrebbero riso tutti, pensavo. Ma non andò proprio così: la casa editrice non comprò il libro che ci aveva commissionato. Piansi.
Stefano mi propose di farlo leggere al suo agente letterario, un suo parere sarebbe stato utile, ma quando lui la chiamò entusiasta per propormi, lei lo fu un po’ meno.
“Come puoi chiedermi di leggere una fashion blogger?”
“Lei è diversa. Devi fidarti di me.”
Le inviai il testo e la chiamai per accertarmi che lo avesse ricevuto.
“Sì, lo vedo, è appena arrivato. Faccio una premessa: ”, disse con voce ferma, “riceviamo decine di libri al giorno, mi ci vorrà un po’ per leggerlo. Nell’attesa, Le chiedo la gentilezza di non chiamarmi, mi farò sentire io, dopo essermi fatta un’idea.”
Era tutto molto chiaro: tampinarla non sarebbe servito. Aspettai, passarono tre mesi e mi chiamò.
“Quando un testo non mi colpisce, chiedo al mio ufficio di mandare una email all’autore in cui spieghiamo le ragioni del rifiuto, ma la sto chiamando e ciò significa che crediamo che il Suo testo abbia buone possibilità.”
La voce ferma e il tono glaciale lasciavano intendere che i complimenti non fossero per circostanza. Me ne rallegrai.
“Peccato solo che il libro che Le hanno commissionato sia invendibile. O almeno in Italia, forse in America potrebbe funzionare.”
In sostanza, mi stava dicendo che avrei dovuto scrivere un terzo libro, ma non era il lavoro che mi aspettava a spaventarmi, tantomeno il dover ricominciare tutto da capo senza nessuna garanzia, ma capire cosa voleva che scrivessi e come.
“Lei deve scrivere romanzi, questo deve fare: scrivere un romanzo. Ha una penna brillante, tanto umorismo, il divertimento che prova mentre scrive si sente e il lettore lo percepisce.”
“Voglio fare questo lavoro, lo voglio davvero: se scriverò il romanzo, Lei si impegnerà a propormi agli editori?”
“Lei pensi a scrivere il romanzo, il resto verrà.”
Algida, ma efficace. Lo scrissi in quattro mesi.
Stefano aveva continuato ad aiutarmi e a lavoro finito, ci commuovemmo entrambi.
Non ci sentiamo da tanto tempo, ma penso spesso a lui, più di quanto si possa immaginare. Ogni volta che scrivo e poi rileggo, mi sembra di sentire le sue correzioni ad alta voce: “Non vedo i personaggi, non li vedo: come sono seduti? Cosa vedono? Cosa mangiano? Chi legge deve vedere la stessa scena che hai in mente tu: aggiungi qualche riferimento visivo, due righe, non di più.”
“Questo pezzo sai scriverlo meglio di così, dai!”
Correggo, riscrivo, correggo ancora, rileggo: era questo che volevo fare nella vita. Ma ringrazio anche la mia modesta e deludente carriera da fashion blogger, perché per quanto se ne dica, anche da essa ho imparato qualcosa.
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