«Le donne sono la rovina della civiltà»: l'editoriale di Silvia Grilli
È una tesi molto diffusa: le femmine sono la rovina della civiltà occidentale. Si sprecano i commenti di maschi che sui social media diffondono questo concetto in modo più o meno feroce.
L’altro giorno mi sono imbattuta su X in un’opinione che ha fatto breccia tra uomini che si sentono scavalcati dalla nostra libertà. La cito letteralmente perché è interessante nella sua stolta efficacia: “Non c’è un solo aspetto della civiltà che le donne non abbiano rovinato, comprese se stesse. Sono diventate bestie irrefrenabili appena le abbiamo liberate dal guinzaglio e hanno trascorso gli ultimi decenni in una guerra totale contro gli uomini”.
Lo pensano in tanti nella maschiosfera, le comunità digitali che offrono sostegno agli uomini che si sentono discriminati dai successi femminili. Magari moderano leggermente i termini, ma il succo è quello.
Qualsiasi donna che esprime la sua opinione pubblicamente con coraggio troverà sui suoi social media commenti che non riguardano quello che dice, ma come lo dice, come si presenta, con chi è sposata, come si veste e se ha figli.
Qualsiasi essere umano di sesso femminile senza prole viene considerato problematico; se mette il lavoro al primo posto è una cattiva persona che morirà sola e se lo merita. Chi fa carriera è un’aggressiva, non un’assertiva. Non potendo colpire fisicamente queste donne, questi uomini le denigrano con le parole.
Ma il patriarcato non è prerogativa maschile. È radicato anche tra noi. Sta facendo discutere il saggio di una conservatrice americana, Helen Andrews: La grande femminilizzazione. L’autrice sostiene che sia una minaccia per la civiltà il fatto che il Nord America e l’Europa abbiano permesso a così tante donne di prendere il controllo delle istituzioni: dai partiti politici alle università, alle imprese.
Le tesi dell'editorialista sono agghiaccianti: non è che le donne siano incapaci, è che le loro caratteristiche sono rovinose per le organizzazioni che guidano, perché nelle femmine l'empatia prevale sulla razionalità, la sicurezza sulla propensione al rischio e la coesione sulla competizione.
E ancora: troppe donne nelle accademie affievoliscono i dibattiti invece di alzare il livello della discussione intellettuale; troppe donne nei media segnano la fine dell’individualismo indomito che non teme la disapprovazione. E così via, negli affari, negli studi legali, nelle corti, tutto è una rovina in mani femminili.
Ma soprattutto, sostiene Andrews, le donne ci porteranno alla disgregazione sociale perché sono paladine dei diritti di tutti. La misoginia di queste tesi è eclatante. Scrivere che gli uomini possono rispettare il nemico, mentre per le donne l’avversario è solo spazzatura subumana a cui non stringerebbero mai la mano è una tesi così intrisa di pregiudizi da lasciare sbalorditi.
Per metà della mia vita ho avuto direttori di giornali che mi ordinavano pezzi “umani”, come se solo le femmine sapessero scrivere di sentimenti. Ma non c’è una scrittura maschile e una femminile, non c’è una gestione del potere maschile e una femminile.
C’è solo un’educazione che per secoli ha limitato la libera espressione delle donne e ci sono i nostri pregiudizi, da cui ancora non ci siamo affatto affrancati, mentre la restaurazione è in agguato.
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