«Le culle vuote e il senso di colpa delle madri»: l'editoriale di Silvia Grilli

L'agenzia italiana del farmaco ha deciso di rendere gratuita in tutta Italia la pillola anticoncezionale per le donne di ogni età. È una scelta che costerà allo Stato 140 milioni di euro e viene criticata dagli antiabortisti.
Secondo loro, sottrae grandi risorse che andrebbero destinate alle famiglie ed è un messaggio pericoloso mentre crollano le nascite. Ma io credo che per favorire la natalità occorra agevolare chi desidera figli, non ostacolare chi non li vuole. Non sono la pillola contraccettiva o le interruzioni volontarie di gravidanza ad abbassare il numero dei nati. Mentre infatti gli aborti stanno calando molto, le gravidanze non stanno aumentando.
Le culle vuote sembrano la maggiore preoccupazione del momento nel nostro Paese. Diminuiscono le donne in età fertile e l’età media delle primipare sale a 34 anni. Il Governo ha preannunciato un intervento d’urto: zero tasse (o quasi) a chi mette al mondo almeno due figli. Servirebbe? Avere bambini, lo sappiamo, è costoso; ma ne fareste un’intera squadra per non pagare le tasse o ottenere benefit sul posto di lavoro?
Un giorno sì e l’altro anche si discute di come rilanciare la maternità. L’ultimo obiettivo è arrivare a 500 mila nati entro il 2033. Ma mi spiegate perché si parla sempre di «maternità» e non di «genitorialità»? Non credete che se i padri fossero considerati parti in causa anche dalle istituzioni ne gioverebbe la condivisione del carico domestico? Attualmente l’idea che hanno gli uomini di che cosa sia la parità dentro casa non ci fa saltare di gioia all’idea di crescere un figlio con uno di loro...
La rivoluzione che ha portato le donne a studiare di più, cercando di onorare le proprie ambizioni, non va di pari passo con la stessa rivoluzione dentro le famiglie. Gli asili sono pochi e hanno orari inconciliabili con quelli delle donne normali. Le scuole hanno sempre più attività extra lezione, le vacanze estive sono lunghe. Chi si occupa dei figli? Chi li accompagna in giro? Chi va ai colloqui? Quanti padri prendono i permessi parentali? Così il 42 per cento delle madri non lavora fuori casa e l’11 per cento (contro una percentuale europea del 3) si dimette per potersi dedicare ai bambini.
Io dubito che la soluzione al calo della natalità sia esclusivamente una questione di soldi. Finché resisterà l’idea che ogni figlio debba nutrirsi del sacrificio della madre, del suo tempo, del suo corpo, del suo spazio, del suo sonno, del suo lavoro, della rinuncia alla sua carriera, anche ai suoi amori e alla sua sessualità, non ne usciremo.
Finché le pressioni sociali sulle mamme saranno così forti per cui non basta essere madri, ma bisogna essere «buone» madri, non ne verremo fuori. In questa società fortemente giudicante, il comune denominatore di ognuna di noi è il senso di colpa. Ci sentiamo in colpa se continuiamo a lavorare e lasciamo i figli in cura agli altri. Ci sentiamo in colpa se ci siamo dimesse e abbiamo rinunciato ai nostri sogni. Ci sentiamo in colpa se non seguiamo esattamente le regole di una «brava» madre.
Ci sono certamente ragionevoli motivi per preoccuparsi del crollo delle nascite. Ma per risolverlo ci vuole un cambiamento culturale in questo Paese. Le donne non possono più rinunciare a così tanto di se stesse, dei loro potenziali e dei loro desideri quando hanno figli. Un vecchio proverbio africano dice che ci vuole un intero villaggio per crescere un bambino. Il villaggio sono entrambi i genitori, la famiglia, le istituzioni, una comunità che non scarica tutto sulle madri.
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