La mia musica è un abbraccio al mondo
Ci sono tutti, ci siamo tutti, sulla copertina del nuovo album di Laura Pausini, Anime Parallele, che dal 27 ottobre uscirà nel mondo intero sulle piattaforme digitali, in cd e in vinile. C’è Paola, la figlia, ci sono Fabrizio e Gianna, i genitori che chi ha visto l’emozionato, emozionante biopic su Amazon Prime, Laura Pausini: piacere di conoscerti, oramai sente pure un po’ suoi, c’è la cagnolina Lila.
Ma ci sono anche io, ci sei tu, c’è lui, lei: le persone di cui Anime Parallele canta le storie e che, in un mondo che sempre di più baratta quello che è vero con il virtuale, Laura invita a non smettere mai di avere voglia di incontrare. Ascoltare, respirare, conoscere. Perché, forse, a sapere che cosa si nasconde nel cuore e nei giorni di qualsiasi essere umano, potremmo dirlo a tutti: “menomale che non sei normale”.
E nessuno lo può sapere meglio di lei che da 30 anni ci dimostra quanta normalità possa intrecciarsi a un destino eccezionale e quanto stupefacente possa finire per essere fare quello che cercano di fare tutti, avere un posto da chiamare casa, degli amici, trovare la persona giusta, perché giusta per noi, seguire una bambina che cresce.
Subito dopo avere vinto quel Sanremo hai raccontato di avere chiesto ai tuoi: ma che cosa fa una persona quando diventa famosa? Giro io oggi a te la domanda: che cosa fa?
«Nella musica, finisce per fare moltissime cose che non sono cantare... Quand’ero piccola pensavo che i miei miti, e su tutti Anna Oxa che era la mia preferita, lavorassero solo nei giorni in cui io li vedevo in televisione o quando facevano i concerti. Non immaginavo tutto il lavoro che può esserci dietro al lancio di un disco che nel mio caso è moltiplicato per i Paesi dove esce. È un impegno quotidiano che, anche quando non c’è da promuovere niente, ha a che fare con la responsabilità di sentirsi di tutti. Non mi lamento, figuriamoci, non mi sfugge mai che c’è chi un lavoro neanche ce l’ha, ma chi pensa che il nostro, di lavoro, si riduca a cantare due canzoni e a essere un privilegiato si sbaglia».
Come fai a rimanere in bilico fra questa responsabilità: essere Laura Pausini e l’incoscienza di cui c’è bisogno per rimanere ancora curiosa, ancora affamata?
«Non ti nascondo che, nei due anni di pandemia, ho attraversato una crisi profonda. Io ho bisogno che sia personale quello che faccio, che convinca prima di tutto me, ma, con il tempo che improvvisamente avevamo interamente a nostra disposizione, ho cominciato a chiedermi: e adesso? Se io non vivo più, perché sto sempre a fare interviste o concerti, che cosa posso cantare di veritiero? Di palpitante, di necessario? Allora mi sono imposta di fermarmi e sperimentare, ho fatto dei demo di tutti, ma tutti i tipi di canzoni, anche lontanissime da quelle che ero abituata a scrivere, come se fossi un’interprete, non una cantautrice. Buttandomi nel diverso da me, lentamente e progressivamente, ho ritrovato me stessa. Il senso di Anime Parallele è questo: solo se riattizziamo la nostra curiosità verso gli altri possiamo cambiare, crescere, allargare i nostri orizzonti, senza però tradirci».
Chi è la persona di cui sei più curiosa?
«Paola (la figlia, 10 anni, avuta con il marito chitarrista e produttore Paolo Carta, ndr). Sono curiosa di lei e di quello che diventerò io, attraverso di lei. È così coraggiosa, ha una visione di sé che non la spaventa. Prendi la parola chiave della mia vita, la solitudine: a me il vuoto ha sempre atterrito, da quando a 18 anni ho provato a dargli voce con quella canzone, lei invece lo cerca. Mamma, ma se il martedì ho ginnastica artistica, il mercoledì nuoto, il giovedì catechismo, come faccio? Possibile che ho solo il lunedì per stare con me? Questa indipendenza mi atterrisce. Io sono riuscita a “stare con me” pienamente e felicemente solo quando ero incinta e aspettavo lei, figurati».
Sai che lo psicoanalista Donald Winnicott sosteneva che si riconoscono i bambini amati bene perché giocano lontano dalle loro madri?
«Sì, va bene, ma che ci posso fare? Io non voglio che si allontani troppo... L’altro giorno mi fa: dopo che ho finito il liceo voglio vivere da sola o con le mie amiche a Londra o in America, magari pure a Roma. Tu mamma potrai stare vicino a me, ma non nello stesso palazzo, eh. Ti rendi conto?».
Come farai a tenere insieme il tour che ti aspetta e lo stare, almeno per ora, nel suo stesso palazzo? «Se sono in tour in Europa non passo mai più di quattro notti lontana da Paola, il tour in America invece l’ho organizzato perché si incastri in parte con le vacanze che sono previste dalla sua scuola, così ci potrà seguire. Quando la notte non posso stendermi vicino a lei prima che si addormenti, per confidarci qual è stata la cosa più brutta e quella più bella della giornata, a me manca proprio un pezzo di me, un pezzo di senso. Perché di notte pure lei, per fortuna, torna la bambina che è».
A chi somiglia?
«Ha la mia apertura istintiva verso il mondo, ma per quanto riguarda quello che sente e che pensa è introversa come Paolo».
Paolo, eccolo qui. Tuo marito. Tornando alla curiosità, la miccia di Anime Parallele, sei ancora curiosa di una persona con cui da 18 anni vivi e lavori?
«Paolo e io abbiamo due caratteri molto diversi, io ho bisogno di buttare tutto fuori, lui, appunto, è un “chiuso”, un riflessivo e ancora oggi ogni tanto mi chiedo: ma che cosa starà pensando? Pure i nostri amici ci dicono che non siamo normali, stiamo sempre appiccicati e però fra noi c’è ancora un’attrazione pazzesca. Forse perché tutti e due abbiamo una personalità forte e però lasciamo libero l’altro di essere com’è. Per farti un esempio, lui è vegeteriano. Mi ci vedi, a me, vegetariana?».
Ti piace come padre?
«Quando l’ho conosciuto aveva già tre figli dal suo primo matrimonio. Mi sono innamorata anche di quello: di com’era con loro».
Su Instagram hai invitato i tuoi fan a giocare con la copertina di Anime Parallele, ad abitare le strisce pedonali con le foto delle loro persone più care... E il 2 dicembre ci sarà un raduno solo per il tuo Fanclub Ufficiale, Launatici, a Rimini. Si può dire che il pubblico, per te, è come quelle amiche che incontriamo negli anni delle superiori e che crescono con noi, ci portiamo avanti per tutta la vita?
«Certo che si può dire! I miei genitori mi hanno sempre sgridata perché io appena entro in contatto con qualcuno ho subito bisogno di allacciare un’intimità, di raccontargli i fatti miei. Avendo cominciato così piccola a lavorare, con alcuni dei miei fan ho creato dei legami che sembrano assurdi a chi mi guarda da fuori, perché io avevo bisogno che l’affetto di chi mi seguiva fosse sincero... Se non ho mai sentito la mancanza di andare in discoteca o di certe fasi classiche dell’adolescenza è stato solo grazie a quelle persone che all’inizio erano le prime a rimanere stupite, quando dopo i concerti mi fermavo a chiacchierare con loro, mi prendevo il numero e poi gli telefonavo».
Rispondi tu personalmente ai commenti pubblici ai tuoi post?
«Ebbene sì».
Ogni tanto con qualcuno ti incazzi: ma ci sarebbe una scuola di pensiero che vieta di scendere al livello di chi ci offende sul web...
«Lo so, lo so! A me delle volte parte proprio il matto, mi chiedo: se non ti piaccio, che vuoi da me, perché entri a casa mia? Infatti adesso cancello i commenti inopportuni e violenti. La tentazione di intavolare con chi mi offende una discussione per convincerlo a non comportarsi così, però, è sempre forte. Alla mia età razionalmente so che le energie vanno tenute per le persone che amiamo, perché il mondo mica si può cambiare: ma che ci devo fare se con la pancia e con il cuore non mi arrendo? Anime Parallele è anche questo: un invito irrazionale ad andare verso il mondo, tutto, con le braccia allargate».
Come stai messa a dipendenza dai social?
«Purtroppo c’ero caduta dentro. Paolo, sempre con quel fare di chi comunque non ti vuole imporre la sua opinione, mi ha fatto notare che se stavo sempre incollata al telefono poi non potevo lamentarmi se Paola faceva lo stesso. Ho smesso subito».
Dopo Launatici partirai per questo tour epico - ma sintonizzato sull’agenda di Paola - che comincia in Italia e ti porterà per l’Europa e poi in Cile, Argentina, Texas... In che cosa sei uguale a quella ragazzina che per la prima volta si è ritrovata a esibirsi in Spagna, dopo che La solitudine era schizzata al primo posto di tutte le classifiche, e in che cosa sei cambiata?
«Quella ragazzina era di sicuro più spensierata e poteva concentrare tutte le sue energie, le sue attenzioni nelle canzoni. Era un treno. Oggi su quel palco non sale solo Laura che canta. Sale Laura la mamma di Paola, salgono le sue domande, le sue paure. Però l’istinto di portare comunque là sopra tutto quello che sono è rimasto lo stesso».
Perché secondo te quella ragazzina non si è rivelata un fuoco fatuo?
«Aiuto... Sono più brava a darmi addosso che a farmi dei complimenti, sarà che ho avuto un papà severo e una mamma che continua a dirmi: non era tutto più facile se facevi la farmacista? Ma devo proprio a loro il motivo fondamentale per cui ho festeggiato trent’anni di carriera: l’amore. I miei genitori me ne hanno dato tanto e io l’ho sempre messo in quello che faccio, anche il mio stacanovismo ha a che fare con l’amore. E poi so cantare. Indipendentemente dal fatto che possa piacere o no, quello lo so fare».
Quand’è stata l’ultima volta che hai scambiato “quello che temevi per ciò che senti”?
«Proprio durante il Covid, quando sono caduta in quella crisi d’identità che mi ha imposto di mettermi in discussione non solo come artista, anche come donna. Se non l’avessi attraversata, però, se mi fossi tirata indietro da un confronto con me stessa che si era fatto necessario, non sarebbe mai nato Anime Parallele. Finito di incidere il disco ho smesso di temermi e ho ricominciato a sentirmi».
Chiudi gli occhi ed esprimi un desiderio.
(Lo fa: si porta le mani sugli occhi. Rimane così qualche istante) «Che si fermi il tempo in questo preciso secondo: che i miei genitori non invecchino, Paola rimanga com’è, Paolo e io anche. Per sempre così».
Testo di Chiara Gamberale, foto di Simonetta Falcetta, styling di Susanna Ausoni
© Riproduzione riservata