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«La vergogna più inconfessabile»: l’editoriale di Silvia Grilli

«La vergogna più inconfessabile»: l'editoriale di Silvia Grilli

foto di Silvia Grilli Silvia Grilli — 18 Maggio 2023
Editoriale Silvia Grilli
Il nuovo numero di Grazia è ora in edicola e su app. Ecco l'editoriale della Direttrice Silvia Grilli

Una madre che non denuncia gli abusi sessuali di un padre sulla figlia diventa complice. “Corresponsabile del reato”, dice la legge, e lo ripete anche la nostra coscienza. Abbiamo sussultato quando Tefta Malaj, 39 anni, ha raccontato a una televisione albanese la sua vita da vittima delle violenze del marito, ma anche le molestie subìte dalla sua bambina da parte dell’uomo. Due anni di abusi sessuali, ha detto. «Se Gessica non l’ha denunciato», ha aggiunto la donna, «è solo per non avere una brutta nomea. Si sa com’è...».

Tefta è la mamma che, nella notte tra il 6 e il 7 maggio a Torremaggiore (Foggia), è stata difesa dalla figlia Gessica dal padre-padrone. La 16enne è morta sotto le coltellate. Al suo funerale la mamma è andata su una sedia a rotelle, lasciando per qualche ora il reparto di chirurgia dove è stata ricoverata dopo l’assalto.

«Si sa com’è...»: avrebbero parlato male di loro, avrebbero guardato strano la ragazza, la famiglia si sarebbe fatta una cattiva reputazione. «È successo diverse volte...», ha rivelato la madre. «Mia figlia non gli voleva più parlare ed è per questo che lui non solo le ha rovinato la vita, ma l’ha anche ammazzata».

Era per loro il tabù più inconfessabile. Più inconfessabile di un marito che ti riempie di botte, c’è un padre che molesta vostra figlia. Il mio non è un atto di accusa contro quella madre. Cerco di capire tutte le storie come questa, dove il nome deve essere protetto, altrimenti la vergogna è insopportabile. C’è il silenzio dei familiari, la premura del violento di non essere scoperto, l’ottundimento della madre che convive con l’abuso per preservare se stessa, una famiglia devastante, ma sempre l’unico luogo a cui si crede di appartenere.

“Guarda che cosa mi hai ridotto a fare, guarda dove mi hai portato”: sembrava questo il significato del video che l’assassino Taulant Malaj girava mentre si scagliava contro la moglie e la figlia. Non sono dentro quelle teste e quell’inferno familiare, ma certamente quel mostro voleva farle sentire sbagliate. Tutte e due: la madre che non aveva neppure più la forza di proteggere la sua bambina, e la figlia che non lo denunciava per non essere considerata sporca. Sentirsi sudicia, confusa e colpevole, senza sapere come salvarsi. Eppure alla fine Gessica ha saputo salvare la madre, la codarda ridotta a nulla nelle mani di un marito malvagio. Un padre-padrone che le aveva rubato l’innocenza. Non parlo solo di loro, lo ripeto. Parlo di tutti i casi come il loro, in cui la figlia riconosce la crescente vulnerabilità della sua mamma, e sente che tocca a lei difenderla.

Mi dispiace enormemente per com’è finita questa storia, senza il lieto fine di una madre che ti salva. Non si può cambiare il passato, ma forse si può cambiare il futuro. Tefta non vuole più tornare in quella casa. Suo marito è in carcere. Non so se dopo tutto questo dolore lei si riconoscerà, capirà chi è, perché ha continuato un matrimonio sbagliato e non ha saputo uscirne fino alla tragedia. Una madre che sopravvive a un figlio esiste, ma non vive. Lei ha un altro bambino più piccolo, l’ha riabbracciato. Speriamo glielo lascino. La legge può essere crudele con le madri, a volte.

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