«La vendetta contro il "femminismo isterico"»: l'editoriale di Silvia Grilli
Non mi addentro nell'inchiesta giudiziaria contro le attiviste femministe Carlotta Vagnoli, Valeria Fonte e Benedetta Sabene, accusate di stalking e diffamazione da due persone. Ma fa male la gioia collettiva scaturita nel vederle indagate per atti persecutori.
Ferisce il diffuso piacere nel demolire il femminismo. Sembra che non si aspettasse altro per attaccare le attiviste in toto. È un grande danno per tutte in un Paese come il nostro dove, con un femminicidio ogni due giorni e un grande squilibrio nei diritti, le donne non se la passano certamente bene.
Riassumo i fatti: la blogger e conduttrice Selvaggia Lucarelli ha rivelato i messaggi misogini e violenti che le tre indagate si scambiavano in una chat privata.
Eccoli: “Michela Murgia era in gran parte una persona di m.”. “Non vivo sana con questo rancore finché non crepano”. “Lucarelli va battuta sul terreno del ricatto” “Chiara Valerio: una fascista omotransfobica”, “Nessuno conosce un super hacker, qualcuno che le tolga il profilo?”. “Quel vecchio di merda di Mattarella”. “Quella vecchia nazi della Segre”, “Odio tutti gli ebrei” e altro.
Puntualizzo che queste affermazioni confidenziali non erano state inserite negli atti utili alle indagini, perché venivano ritenute ininfluenti. Sottolineo che stiamo parlando di dialoghi tra amiche e non esiste ancora il reato di confessioni malvagie tra conoscenti.
Nelle indagini, invece, era rilevante la gogna digitale che le tre indagate avrebbero attuato per annientare l’immagine pubblica di un uomo (un giornalista) che consideravano un abusatore. Questo signore, tacciato dalle tre attiviste di avere gli stessi comportamenti persecutori dell'assassino di Giulia Cecchettin, le ha denunciate per stalking.
Non minimizzo la violenza di parole d'odio che sviliscono e denigrano, cavalcando la peggior cultura patriarcale. Ma divulgare sui media commenti privati che non hanno rilevanza nell'indagine presta il fianco a chi vuole abbattere il femminismo e farci retrocedere al posticino invisibile che la storia ci ha riservato.
Infatti, la vendetta è fiorita come a primavera sui social media con commenti di uomini in brodo di giuggiole. Questi: "Transfemminismo isterico", "oche urlanti", "dovreste riscoprire il piacere di cucinare crostate e lavare il pavimento", "feminazismo", "femministe invasate" e via discorrendo.
Non sottovalutiamo la potenza dei social. Non caschiamo nella trappola della retrocessione. In un contesto totalmente diverso, ricordo le parole d’odio contro la memoria di Oria Gargano, persona libera, punto di riferimento contro la violenza maschile sulle donne.
Quando è morta, in rete, sotto i messaggi di cordoglio, sono state scritte parole come: “Avanti così”, “una nazista in meno” “bisogna festeggiare”, in un crescendo di insulti a lei e alle femministe in generale. Il clima è questo.
Post di tal fatta sono indicatori del livello di odio e violenza contro le donne sul web. Per questo la vicenda di Vagnoli, Fonte e Sabene è molto più rilevante di quello che si potrebbe pensare. È diventata la legittimazione della restaurazione antifemminista.
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