«La ristoratrice di Lodi e il nostro bisogno di essere visti»: l'editoriale di Silvia Grilli
Prima di diventare direttrice di Grazia, facevo l’inviata per il settimanale Panorama. Ricordo l’emozione dei primi giorni, la felicità di ogni mattina quando andavo in redazione. Ma di quel debutto ricordo anche qualcos’altro, quando finii mio malgrado su un sito di gossip molto popolare, che raccontò un episodio falso e ridicolo sul mio conto.
Scrissero che il primo giorno di lavoro mi ero tolta le mutande e le avevo lanciate sulla scrivania del collega di fronte. Oggi mi viene da ridere a raccontarvelo, sarebbe stata una scena talmente comica! Ma allora per me fu un dramma che mi fece stare male per settimane. Non capivo come potesse essere saltata fuori una tale invenzione, non mi capacitavo di chi avesse voluto farmi del male.
Era la prima volta in cui venivo esposta al pubblico ludibrio e lo subii con lacrime e disperazione. Non ero abituata alla ferocia sui media informatici e avviai un’azione legale contro quel sito.
Con il tempo, mi sono abituata. Per quello che scrivo e per quello che faccio sono spesso attaccata con diversi gradi di cattiveria da vari utenti o cosiddetti “opinionisti” digitali.
Non intendo le critiche educate, che accolgo sempre con attenzione e rispetto. Intendo le offese pesanti, le calunnie, quei venticelli soffiati per insinuare dubbi sulla mia credibilità. Intendo la gogna che alcune volte mi è stata riservata per idee che ancora orgogliosamente rivendico.
All’inizio rispondevo anche agli attacchi più virulenti, offensivi, denigratori, soffrendo per giorni. Poi ho imparato. L’intento di questi, ripeto, cosiddetti “opinionisti” è esistere, essere letti. Solo così pensano di valere. La risposta peggiore che possono ricevere è non essere visti. Così non ho più risposto.
Perciò capisco il cuore e la mente di Giovanna Pedretti, ristoratrice della pizzeria Le Vignole in provincia di Lodi, che si è tolta la vita dopo essere stata massacrata sui social e inseguita dai giornalisti.
Non m’interessa se si sia inventata o no una recensione su Google per fare pubblicità al suo locale. La sua risposta a quella recensione (vera o falsa che fosse) era piena di buoni sentimenti: Pedretti dava il benvenuto nel suo locale a gay e persone malate, e ritengo un peccato veniale che partisse da presupposti inventati.
Certo, lo insegniamo anche ai nostri figli: non dire bugie e perciò non inventarti neppure post su Google. Certo, i giornalisti dovrebbero controllare i fatti prima di pubblicare notizie non verificate, ma da qui a fare della signora Pedretti un caso esemplare d’immoralità mi sembra ridicolo. Il problema è che il ridicolo si è trasformato in tragedia.
Non so che fragilità avesse la signora Giovanna. Ho letto che ne aveva. Come tutti noi del resto. Forse questa vicenda ha fatto precipitare le sue angosce senza permetterle di vedere più una via di uscita. C’era un tempo in cui la chiacchiera da bar restava al bar, oggi con il web è diventata planetaria. Una persona normale non è attrezzata a sopportare l’assalto del mondo.
Ma una persona normale forse ancora non sa che domani questa valanga troverà una prossima vittima e si dimenticherà improvvisamente di lei. Non lo sapevo neppure io. Ma poi ci si abitua.
Mi commuove il dramma della signora Pedretti, mi fa tenerezza anche la possibilità che si fosse inventata quella recensione. Sarebbe solo l’umana debolezza del voler essere visti, ma senza fare del male a nessuno.
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