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«La ragazza di oggi a casa La Russa»: l’editoriale di Silvia Grilli

«La ragazza di oggi a casa La Russa»: l'editoriale di Silvia Grilli

foto di Silvia Grilli Silvia Grilli — 27 Luglio 2023
Editoriale Silvia Grilli
Il nuovo numero di Grazia è ora in edicola e su app. Ecco l'editoriale della Direttrice Silvia Grilli

Le ragazze di oggi sono cambiate: hanno trovato il coraggio di denunciare gli stupri per rifiutare quella devastante umiliazione. Eppure non è cambiata la mentalità di chi (ed è la maggioranza) pensa se la siano andata a cercare. Le svergognate dovrebbero, secondo gran parte dell’opinione pubblica, ancora rassegnarsi al silenzio e alla vergogna.

Massimo Gilardoni è il padre del dj Tommy, secondo indagato nell’inchiesta per violenza sessuale dove è accusato anche Leonardo Apache La Russa (ultimogenito del presidente del Senato). Gilardoni ha detto che suo figlio è un playboy, sempre circondato da bellissime donne. Quindi ha aggiunto: «Al giorno d’oggi le ragazze magari fanno sesso, poi si accorgono con chi lo hanno fatto ed è un attimo che vanno a denunciare le persone. Questa è andata a casa di La Russa, che non è proprio l’ultimo arrivato, ha fatto sesso, poi si è pentita e lo ha denunciato».

Ringrazio «le ragazze di oggi» che denunciano. Ci vuole molta forza per farlo, sfidando la colpevolizzazione delle vittime che ancora continua. Ditemi che cosa c’è di molto diverso da quando, nel 1965 in Sicilia, dissero di Franca Viola che fu lei a sedurre il suo stupratore. All’epoca dei fatti diciannovenne, Viola fu tra le prime in Sicilia ad avere l’ardire di rifiutare un matrimonio riparatore con il suo violentatore, sottraendosi a un patto scellerato tra vittima e carnefice in nome dell’onore. «L’onore lo perde chi fa certe cose, non chi le subisce», disse Franca nel 1965.

Prima di condannare aspetterò certamente gli esiti delle indagini contro La Russa e Gilardoni. Spero che il processo sia il più giusto possibile, anche se francamente non ho molta fiducia nella gestione dei dibattimenti per stupro. Le indagini sono lunghissime e i sospettati ampiamente protetti dall’opinione prevalente che siano finiti in un trappolone. Intanto le vittime espatriano per non essere condannate dai vicini, le ragazze vengono sottoposte a prove umilianti per dimostrare che non c’è stato consenso e avranno la vita ispezionata per i successivi 10 anni almeno.

Eppure bisogna denunciare. E non solo per mandare loro in galera, ma soprattutto (come scrivevo all’inizio) per liberare se stesse. Lo stupro non è la soddisfazione di un esorbitante desiderio sessuale, ma l’invasione del tuo corpo: ti dimostro che il potere ce l’ho io, che tu non sei niente sotto di me. Lo stupro è un atto di guerra contro la femminilità. In Congo, il Paese con più stupri di massa, il nemico vince uccidendo i maschi e violentando le donne e le bambine.

Bisogna denunciare per affermare la propria dignità. Sappiamo quanto dolore costerà, sappiamo che le indagini e i processi mettono sullo stesso livello la parola delle vittime e quella dei torturatori. Lei che afferma il suo dissenso, lui che invece giura che la donna era consenziente.

Qui tengo ancora una volta a ribadire alcuni capisaldi. Si tratta di violenza sessuale non solo se c’è un chiaro no, ma anche se manca il sì. Il consenso deve esserci dall’inizio alla fine del rapporto, perché si può cambiare idea: a causa di un ripensamento o anche solo perché non si condivide il modo di consumare l’atto sessuale.

L’utilizzo di droghe o alcolici causa maggiore vulnerabilità e quindi è un’aggravante non per la presunta vittima, ma per il presunto responsabile di violenza sessuale. Si ha tempo un anno prima di denunciare uno stupro, perché è una scelta difficile ripercorrere un trauma devastante, ma vi assicuro che non denunciare sarebbe una decisione ancora peggiore. «Le ragazze di oggi» lo sanno.

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