«La prossima volta ti mordo la mano subito»: l'editoriale di Silvia Grilli

Una hostess si rivolge a un sindacalista per un problema di lavoro e, in una saletta sindacale, lui comincia a massaggiarla da dietro toccandole il seno e infilandole una mano tra le mutande.
A Milano la sentenza di appello stabilisce che la hostess ha reagito troppo tardi, dopo circa 20 secondi, e assolve l’imputato.
L’avvocato difende il suo assistito sostenendo che, poiché la lavoratrice era di spalle, il signore non poteva sapere che le sue attenzioni non le piacessero. Insiste, poi, come se fosse un dato sostanziale, che i secondi non fossero 20, ma addirittura 30...
Qui ci sono varie questioni che farebbero ridere se non facessero piangere. Prima di tutto contate fino a 20, anche 30, se volete. Che cosa si fa durante 20 secondi in cui mani sgradite vi perlustrano la pelle mentre voi state perorando la vostra causa?
1. Si rimane costernate.
2. Si prova disgusto.
3. Si pensa: «Ma questo mostro che cosa sta facendo?».
4. Si riflette: «Come mi comporto adesso, senza che la mia situazione peggiori?».
5. Reagisco, dicendo: «No, basta»? E se diventa violento?
6. Già ho problemi di lavoro, se mi oppongo la mia situazione può peggiorare?
7. Poi denuncio?
8. Chi mi crederà?
9. Che cosa penseranno di me?
10. Che schifo. Adesso basta!
Eccoli i 20 secondi. Vi chiedete perché ce ne vogliono 20, o anche 30? Ma perché tutto il sistema da sempre ci ha fatto credere che è normale che un uomo ci provi; normale che una donna ci stia, perché poi così ottiene ciò che vuole; normale che tutti intorno pensino: «Eh, ma lei lo avrà provocato...».
E invece non è normale che sia normale. Vi sembra normale che una donna vada in una saletta sindacale e la persona che dovrebbe tutelarla le palpeggi le parti intime? Non si prende appuntamento con un sindacalista quando si ha bisogno di un massaggio.
Tra l’altro la denuncia della hostess si somma a quella di altre tre: che cosa ci faceva quell’uomo ancora seduto al suo posto di, diciamo così, “lavoro”?
E mi domando: siamo qui a contare i 20/30 secondi, ma quelle accuse erano del 2018. Sono cioè passati sei anni, un tempo lunghissimo in cui lui è stato assolto due volte e lei deve ricordare sempre la stessa storia.
È sconvolgente quanto si colpevolizzino i tempi di reazione delle vittime: perché hai querelato il marito violento così tardivamente? Perché hai aspettato tutti questi anni prima di denunciare il produttore che ti ha stuprata in una stanza d’hotel?
Perché non gli hai morso la mano prima? Perché non hai urlato «no» mentre ti stupravano ed eri priva di sensi, invece di aspettare il giorno dopo?
Guardate: io sinceramente mi meraviglio quando denunciamo, perché è un enorme atto di resilienza oltre che di coraggio.
Significa tenere aperte per anni le nostre ferite, essere messe continuamente sotto accusa, non essere protette adeguatamente. E invece quello che volevamo era andare avanti. Venti secondi, poi dimenticare tutto.
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