La pace è più lontana
Dieci anni fa, quando scrivevo reportage andando in giro per il mondo, trascorsi una settimana a casa di una famiglia ebrea di Gerusalemme. Ne nacque il racconto della loro straordinaria vita normale.
Dieci anni fa, quando scrivevo reportage andando in giro per il mondo, trascorsi una settimana a casa di una famiglia ebrea di Gerusalemme. Ne nacque il racconto della loro straordinaria vita normale.
Ogni giorno sulle strade c’erano più poliziotti e soldati con le mitragliatrici che persone qualsiasi. Saltavano in aria autobus, ristoranti e strade. Ma i sei Fogel, padre, madre e quattro figli, facevano cose molto coraggiose: camminavano per strada, prendevano l’autobus, andavano al ristorante. Avevano fiducia nel futuro, speravano che un giorno sarebbe finito l’odio tra Israele e Palestina e ci sarebbe stata la pace.
Non ho più parlato coi Fogel, ma quando tre adolescenti ebrei sono stati rapiti la notte del 12 giugno mentre facevano l’autostop, mi sono tornate in mente le parole di mamma Nati e papà Yoram: «Il nostro terrore non è che i nostri figli muoiano, ma che siano rapiti per essere linciati». I tre ragazzi Gilad, Naftali ed Eyal, sequestrati il 12 giugno, sono stati uccisi subito e gettati tra i sassi su un sentiero sterrato. Pochi gesti sono così fiduciosi nel prossimo come il loro: fare l’autostop. Pochi gesti possono competere in viltà e ferocia con l’averli assassinati. La pace è di nuovo lontana, i raid riprendono.
Quando vincerà la normalità?
© Riproduzione riservata
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