«La mia America perduta»: l'editoriale di Silvia Grilli

Ho lavorato e vissuto a New York. È la mia seconda patria. La Statua della Libertà è il simbolo con cui sono cresciuta. Da grande ho eletto come casa mia quella città che accoglie. Quando penso alla mia Manhattan, al mio quartiere, l’Upper West Side, mi sciolgo di nostalgia perché vorrei essere lì.
Anche in questo preciso momento, mentre scrivo, vorrei trovarmi sulla Broadway, tra il parco e il fiume, nella sua aria ventosa, tra la gente gentile del West Side. Ogni tanto mia figlia mi dice: «Oggi mi è sembrato di sen- tire l’odore di New York, mamma». Ogni volta che lascio Manhattan è sempre difficile, per me e per la mia piccola famiglia.
Io so che New York non c’entra niente, perché non importa da dove vieni, lei ha il dovere di accoglierti. Ma ora il presidente degli Stati Uniti mi fa sentire straniera, non gradita.
In poco più di un mese, Donald Trump ha rovesciato tutte le certezze. Ha minacciato i suoi più fedeli alleati: l’Europa e il Canada. Ha dichiarato che vuole prendersi la Groenlandia.
Ha stravolto le verità sulla guerra in Ucraina, affermando che sia stato il «dittatore» Volodymyr Zelens’kyj ad aggredire la Russia. Ha sostenuto i capi di stato autoritari: da Vladimir Putin a Viktor Orbán a Nayib Bukele a Narendra Modi.
Ha cambiato il nome al Golfo del Messico, cacciato dalla Casa Bianca i giornalisti che non si adeguano. Ha perdonato gli assalitori di Capitol Hill. Si vendica di tutti i suoi oppositori, attacca l’ordine costituzionale, ordina ai giudici di chiudere inchieste e processi.
Vuole fare di Gaza un villaggio turistico, distribuisce fake news come pane quotidiano, racconta di aver bloccato un miliardo di preservativi per Gaza, mandati dal precedente presidente Joe Biden.
Taglia fondi e si prende gioco dei padri fondatori, dipingendo se stesso sul profilo dell’Amministrazione americana come un re. Nessuno attorno a lui è in grado di fermarlo.
Qualsiasi dissenso viene schiacciato, ogni persona minimamente sospettata di essere vicina ai democratici viene silurata. A una riunione alla Casa Bianca ha bullizzato la governatrice del Maine Janet Mills, mentre tutti gli altri governatori tacevano impietriti dalla paura.
Questa non è l’America che conosciamo, l’America amica, lo zio Sam buono con cui siamo cresciuti, il cioccolato dato dai soldati statunitensi durante la Liberazione, i film che ci fanno sentire sempre a casa ogni volta che atterriamo a JFK. Questa è l’America in cui si riconoscono Putin o Xi Jinping, un’America che schiaffeggia i suoi amici e corteggia i suoi nemici.
Un presidente che vandalizza tutto quello che abbiamo costruito nel mondo libero dalla Seconda Guerra Mondiale e cancella tutti i valori che ci hanno dato il più lungo periodo di pace e prosperità nella storia.
Qualcuno obietterà che è stato democraticamente eletto. Grazie, lo so. Qualcun altro scriverà che questa testata non è titolata a parlare di politica, soprattutto estera. Lo scrivono spesso per quel pregiudizio radicato contro i cosiddetti “giornali femminili”.
Posso sopportare tutte le vostre critiche, soprattutto quella che io sia di parte. Perché lo confesso: sì, io sono di parte. Sto dalla parte del mio pensiero.
Ma non posso sopportare che mi portino via l’America, la democrazia sorella, quella per cui un attacco a lei era un attacco a noi e viceversa, l’America guida del mondo libero. No, questo non posso sopportarlo.
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