«La mamma "vera" e quella "non vera"»: l'editoriale di Silvia Grilli

Chi è una «vera madre»? Una predestinata dalla biologia, che partorisce una creatura cresciuta nel proprio utero con i propri ovuli? Una supereroina? Una santa dispensatrice d’amore? Una donna come tutte le altre, né migliore né peggiore, che sceglie di essere genitrice?
Dopo averlo atteso, partorito e accudito per una settimana dopo averlo dato alla luce, la mattina di Pasqua una mamma ha posato il suo piccolo nella culla termica della clinica Mangiagalli di Milano, dove vengono lasciati i bambini non riconosciuti. Gli ha dato un nome, Enea, e scritto una lettera per fargli sapere che, prima di prendere quella decisione, aveva desiderato di “stare insieme il più possibile”.
Ezio Greggio le ha rivolto un video-messaggio: «Torna, ti prego, sui tuoi passi. Ti daremo una mano, perché avere un figlio è una grande fortuna. Il tuo bambino merita di avere una madre vera, non una mamma che dovrà occuparsene, ma non è la mamma vera». Molte polemiche ne sono seguite, perché le parole del conduttore presupponevano che la madre adottiva sarà sempre una seconda scelta rispetto a quella biologica. Greggio ha poi scritto: “Mamma di Enea, se ami il tuo bimbo e il tuo desiderio è tenerlo, siamo in tanti pronti ad aiutarti”.
Se amare non significa possedere, ma volere il bene di un altro, la mamma di Enea ama il suo bambino. Non sappiamo se nei giorni in cui è stata con lui lo abbia tenuto in braccio, cercando di capire che cosa decidere. Però sappiamo che non l’ha abbandonato per strada, non ha messo a rischio la sua vita. Lo ha affidato a un ospedale, sapendo che sarebbe stato assistito e dato in adozione a una famiglia in grado di crescerlo. La legge prevede il diritto di ogni donna di partorire in anonimato. L’istinto materno è un falso mito: le ricerche scientifiche hanno chiarito che non è innato. La nozione che la generosità e la tenerezza di cui i figli hanno bisogno appartengano alla biologia delle donne è stata costruita da secoli di regole su che cosa debba essere una mamma. Il sentimento materno dipende dalla persona e dalle condizioni che la circondano. Oggi siamo in molti a sostenere che non sia né un destino né tanto meno un dovere, e che una femmina non sia meno completa senza bambini. È sempre più in discussione il quadretto della madre felice, paziente e soddisfatta.
I social media sono pieni di post di mamme che condividono le loro poco patinate esperienze di gravidanza, post parto, allattamento, ansia e monotonia, ma anche aborti spontanei, infertilità, tentativi falliti. E se la maggioranza delle foto ostenta situazioni idilliache, sono sempre più numerose le immagini che mostrano coraggiosamente i segni dei cesarei, la bruttezza dei piedi gonfi, la faccia segnata, le lacrime per non riuscire ad allattare. Personalmente mi piaceva attaccare al seno mia figlia, ma odiavo un medico che, considerandomi alla stregua di una latteria, mi ordinava: «E ora fa’ la mucca».
Non tutte le donne posseggono la forza e la volontà di allevare un bambino. In Italia, nei colloqui per l’assunzione, viene spesso chiesto alle candidate se abbiano in programma di fare figli. Le madri che restano occupate dopo la maternità sono meno del 57 per cento, i padri quasi l’85 per cento. Più della metà delle donne che non rientra dopo la gravidanza perde il lavoro. La mamma di Enea gli ha voluto bene. Certamente bene gli vorrà la madre adottiva: la maternità è un cammino graduale. Una delle due proverà a fare quello di cui l’altra non si è sentita capace: crescerlo nel mondo, fuori da sé. Nessuna delle due è meno vera dell’altra.
© Riproduzione riservata