«La lussuriosa Alessia Pifferi»: l'editoriale di Silvia Grilli

Non c'è pensiero più intollerabile di una madre che lascia per sei giorni, nel caldo torrido estivo, la figlia di 18 mesi a casa da sola. Nell'ordine dell’universo la donna che ti ha dato la vita dovrebbe accudirti e proteggerti, invece di abbandonarti e lasciarti morire di fame e sete. Ci sentiamo anche autorizzati a esprimere una condanna morale, sapendo il motivo per cui Alessia Pifferi ha abbandonato la piccola Diana, cioè andare dall’uomo con cui aveva una relazione.
Lasciare una creatura indifesa di 18 mesi è un’idea talmente intollerabile che un plauso generale ha accolto la sentenza della Corte d’Assise di Milano. In primo grado Pifferi è stata condannata all’ergastolo, perché ritenuta colpevole di omicidio con l’aggravante dei futili motivi e del rapporto di discendenza. Una sconfitta per la difesa, che sosteneva la differenza tra uccidere a coltellate e lasciare morire per disidratazione, e chiedeva che l’imputata venisse giudicata colpevole non di omicidio, ma del reato di morte per abbandono di minore.
Il processo è uscito dall’aula del tribunale, è diventato fenomeno mediatico, si è trasformato in un banco d’accusa pubblico per giudicare che cosa s’intenda per madre, discendenza e famiglia in Italia: amore, sicurezza, aiuto reciproco, moralità.
Per questo anche la sorella e la madre di Pifferi sono state condannate dalla piazza come corresponsabili: per la pubblica opinione non si sarebbero occupate abbastanza né di Alessia né della povera, piccola Diana.
Ma perché ci risulta un pensiero intollerabile quello di una madre che ha relazioni scomposte con uomini e lascia morire la figlia per disidratazione e meno intollerabile quello di un uomo che uccide la moglie a coltellate dopo anni di violenze? Forse perché siamo abituati alla sopraffazione domestica? Siamo assuefatti alla frequenza dei femminicidi? O dobbiamo smaltire dal nostro cervello le scorie del delitto d’onore?
Una lettrice mi ha scritto: “È arrivata la sentenza per Alessia Pifferi, la madre che ha lasciato morire - non ucciso - la figlia. Perché sottolineo questo? Perché da tempo attendevo la sentenza. Ascoltavo nel frattempo le altre sentenze per maschi che hanno assassinato le loro ex con efferatezza palese, spesso estrema, e pensavo: ‘I giudici non stanno condannando nessuno di questi assassini all’ergastolo, scommettiamo che alla madre invece lo danno?’”.
In realtà recenti sentenze condannano i femminicidi all'ergastolo, riconoscendo il sistema di prolungata sopraffazione è sevizie inflitte dai carnefici alle loro vittime per sancire chi comanda nella coppia. Per esempio la pena a vita inflitta a Giovanni Padovani, che uccise a Bologna a calci , pugni, martellate, colpendola anche con una panchina l'ex fidanzata Alessandra Matteuzzi.
Ma a volte, nei processi di appello, vengono eliminate le aggravanti. È difficile da estirpare l’idea che il femminicidio sia frutto di un’esplosione di rabbia, invece che il culmine di abusi, controllo e persecuzione. Ridurre gli assassini al rango di folli ridimensiona la violenza ai danni delle donne.
Qualche giorno fa la Corte d’Assise d’Appello di Venezia ha cancellato l’ergastolo per un uomo, Pierangelo Pellizzari, che uccise la moglie a colpi di pistola, dopo averla aspettata nel parcheggio dell’azienda dove lavorava. La vittima aveva raccontato che il marito la picchiava e l’uomo era già stato condannato per maltrattamenti alla sua precedente compagna. Ma nella sentenza di secondo grado è caduta l’aggravante della premeditazione e nella decisione dei giudici ha contato una perizia psichiatrica. Non entro nella decisione della corte, ma non ho visto la stessa rilevanza mediatica del processo per la morte di Diana e non ho letto le stesse reazioni di furore.
Per l’opinione pubblica, Alessia Pifferi è la peggiore delle donne: preferiva vestirsi di rosso e di tulle al mattino e inseguire i suoi uomini, lasciando morire sua figlia. Qualcuno l’ha definita il simbolo del degrado della femminilità moderna: donne dalla sessualità incandescente, senza remore e senza sensi di colpa. Pifferi ha fatto una cosa mostruosa, merita una pena esemplare. L’ho già scritto in un altro editoriale: sento nella mia pelle le sofferenze indicibili della piccola Diana, morta per disidratazione. Ma nel giudizio verso sua madre pesa anche la nostra percezione di come debba essere una brava donna e quindi la condanna morale per una presunta libertà di costumi: quella che il legale di parte civile definisce la «lussuria» di una femmina che ha seguito «l’appetito del corpo».
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