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La “generazione che non va da nessuna parte” esiste. Anche negli Usa

La “generazione che non va da nessuna parte” esiste. Anche negli Usa

foto di Anselma Dell'Olio Anselma Dell'Olio — 21 Marzo 2012

Chi avrebbe mai pensato che i giovani americani sarebbero diventati insicuri e mammoni come le nuove leve italiane? La crisi economica non è la sola ragione, perché il trend comincia nel 2008, quindi prima della “Grande Recessione”.

Non c’è niente di più anti-americano che avere il piombo ai piedi e vergogna più grande di farsi mantenere da adulti. Quella è una nazione fondata da ottimisti coraggiosi, pronti a mollare famiglia e ogni sicurezza per cercare fortuna in un continente lontano. La nuova generazione è diversa. Todd G. Buchholz , economista, esperto di politica, finanza e innovazione, documenta la “svolta stanziale” per il New York Times.

E ha i titoli per farlo: è conferenziere e professore di Harvard, ma anche imprenditore, raro esempio di intellettuale che mette le sue teorie accademiche alla prova della realtà. Nel 1999, in Market Shock, scrisse che le nazioni mediterranee e l’Irlanda erano destinate a uno scivolone economico perché avevano bisogno di una politica monetaria diversa da quella promossa da Francia e Germania.

Sotto il titolo The Go-Nowhere Generation (“La generazione che non va da nessuna parte”) lo studioso scrive che, negli ultimi 30 anni, i giovani americani hanno tirato il freno su esuberanza e dinamismo yankee, diventando come i nostri: sedentari, famiglia-dipendenti e allergici al rischio.

La possibilità che i 20-30enni si trasferiscano in un altro Stato per lavoro è scesa più del 40 per cento rispetto agli Anni 80. La “svolta mammista” affligge sia i laureati sia chi si ferma al diploma. La percentuale di giovani adulti ancora accampati nella cameretta dell’infanzia è quasi raddoppiata tra il 1980 e il 2008 (quindi molto prima della crisi).

Si dà la colpa alle lunghe ore che i semiadulti passano su social network come Facebook. Queste mammole con il piombo nelle chiappe tardano persino a fare la patente. Una volta l’80 per cento degli adolescenti a stelle e strisce correva a prenderla appena possibile: ora lo fa solo il 65 per cento.

Eppure oggi ci vogliono meno soldi per comprarsi l’auto che 30 anni fa, e negli Stati Uniti la benzina costa molto meno che da noi. Né inforcano più tanto la bicicletta: se ne vendono meno oggi che nel 2000. Un altro esempio: chi vive in Nevada, con la disoccupazione al 13 per cento, potrebbe prendere la corriera per il Nord Dakota, dove è al 3,3, ma i fifoni non si fidano di allontanarsi dalla cuccia calda familiare.

La mancanza d’intraprendenza e autonomia (“get up and go” come dicono lì) è malvista. Eppure, in quel Paese, non c’è un solo squittìo di protesta per chi ha osato criticare i giovani lazzaroni. Mentre da noi c’è stata una rivolta virtuale (e non solo), appena alcuni componenti dell’esecutivo guidato da Mario Monti hanno osato dire palesi verità: il posto fisso è monotono e superato, chi non è laureato a 28 anni è uno sfigato, e pretende un lavoro di prestigio vicino a casa di “mammà”.

Gli internauti con la coda di paglia hanno inondato la Rete di proteste e ingiurie per “l’offesa” alla categoria. Non si rendono conto che una generazione di cocchi di mamma propende a credere più alla fortuna che all’olio di gomito.

E le società che enfatizzano la sorte più dell’impegno ristagnano. In America la crisi si è attenuata con un boom di occupazione: 923 mila posti di lavoro in più. Sono andati agli over 55, però, più motivati dei loro figli: accettano quello che c’è. Continuiamo a fasciare la testa alla gioventù o la invitiamo a staccarsi dal pc, gonfiare le gomme della bici e pedalare?

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