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«La boxe è uno sport femminile», parola della campionessa Irma Testa

«La boxe è uno sport femminile», parola della campionessa Irma Testa

foto di Marina Speich Marina Speich — 12 Luglio 2024
Irma Testa (3)
Pronta a stupire tutti a Parigi, la prima pugile femminile italiana a vincere una medaglia olimpica si racconta in questa intervista esclusiva a Grazia

Le Olimpiadi di Parigi potrebbero regalare agli italiani grandi emozioni e soprattutto molte medaglie. E una potrebbe arrivare da lei, Irma Testa. Ha vinto la medaglia di bronzo ai Giochi di Tokyo 2020, diventando la prima pugile femminile italiana a raggiungere questo risultato e non vede l’ora di stupire tutti a Parigi.

Le Olimpiadi sono il suo mantra. «Quando ho un pensiero negativo, se penso ai Giochi, sparisce», dice Irma, campionessa del mondo. «Tutto quello che ruota intorno alle Olimpiadi è magico, come le dinamiche che si creano tra gli atleti riuniti tutti lì: si creano relazioni molto speciali». Incontro l'atleta a Milano a pranzo: chiacchieriamo intorno a una insalata.

Quando si è qualificata a Rio, la sua prima Olimpiade, aveva 17 anni. Com’era allora?
«Una bambina. Non mi aspettavo di competere con atlete così forti ed è stato un po’ surreale essere lì: ero come una mosca tra giganti, passeggiavano accanto a superatleti come il nuotatore Michael Phelps o il velocista Usain Bolt. Era troppo, non ci credevo, forse non ci ho creduto fino in fondo. A Tokyo, invece, sono arrivata con più consapevolezza: ero un’atleta matura, sapevo di essere tra le più forti». 

Irma Testa (2)

Riti scaramantici per Parigi 2024?
«Tanti portafortuna: un braccialetto che mi ha dato mio nonno, il cornetto d’oro che mi ha regalato mia mamma, un quadrifoglio essicato portato da mia sorella da un viaggio. E poi i riti scaramantici prima della gara: il caffè sempre alla stessa ora, sempre lo stesso cibo: guai se non trovo gli stessi cereali a colazione».

Il ricordo più bello di questi duri mesi di allenamento?
«Ogni momento è bello: la squadra, i sacrifici. Ho dovuto rinunciare a vedere la mia famiglia, per esempio. Mi manca. Ma anche questo è un ricordo bello perché dopo essermi chiesta se ne valesse la pena, questa rinuncia mi ha spinto a lavorare sempre di più. Perché quello che si ricorda di un’Olimpiade o di un Mondiale, non è tanto la medaglia: il giorno dopo te la dimentichi. Ma rimane il percorso verso l'obiettivo. E quel ricordo lo custodisco gelosamente perché mi rende consapevole di quanto sia oggi una persona fortunata: faccio una vita incredibile».

Irma Testa

Il percorso per arrivare a Parigi 2024, com’è stato?
«Personalmente è stato uno dei migliori. Ma in generale tutta l’Italia ha vissuto questo periodo verso le Olimpiadi in modo più intenso: una nazione che si unisce verso questo appuntamento. Gli altri sport mi hanno poi fatto da traino. Ogni volta che ho visto una vittoria di altri colleghi sono sempre stata spinta a fare qualcosa di eccezionale anch'io: ho preso ispirazione da loro». 

Qualcuno che tiferà con tutto il cuore?
«Tutti quanti. E ovviamente il nostro porta-bandiere, Jimbo, cioè Gianmarco Tamberi. Sta facendo cose eccezionali e lui riesce a tenere unita tutta la squadra italiana, anche da lontano. Per noi Gianmarco è motivo d’orgoglio e ispirazione».

Quanto si allena al giorno? E che cosa fa la sera per staccare?
«Due volte al giorno, ogni volta tre o quattro ore. E la sera ciò che mi rilassa davvero è stare con il mio cane. Mi tranquillizza, mi mette in pace. Stare con lui e la mia compagna nel nostro giardino è una cosa che mi fa stare bene. È un beagle e l’ho preso dopo le ultime Olimpiadi: ecco perché l’ho chiamato Tokyo».

Vive ora con la sua compagna. Ha raccontato che fare outing è stato più facile al Sud. È così?
«Vivo da dieci anni in Umbria: un posto che amo follemente. Ma quello che trovo ogni volta che vado a Napoli è unico. Lì c’è la voglia di perdere del tempo prezioso per ascoltare davvero un’altra persona. È un processo di comunicazione che parte dall’ascolto, per arrivare poi alla comprensione e all’accettazione. Un atto di umanità che trovo solo lì e che ho riscontrato anche quando ho fatto outing».

La sua compagna è sportiva anche lei?
«No, è un’artista e viene dal Cilento, ma l'Umbria è diventata la nostra casa».

Che cosa ha significato per lei la boxe da piccola? È cresciuta in un Comune non semplice come Torre Annunziata, dove c’è molta camorra.
«È stata una salvezza. Quando si è piccoli è facile perdere la voglia di creare qualcosa di grande o di fare qualcosa di buono. La boxe mi ha salvato da questo baratro, dal buco nero. Mi ha dato la possibilità di sognare».

Com’era da bambina Irma?
«Felice, mi sono divertita nei vicoli del mio paese, dove c’era tanto amore e calore. E per assurdo sono stati gli anni più difficili della nostra vita: avevamo anche poco da mangiare. Ma abbiamo sempre trovato qualcuno che ci ha dato una mano».

Lei è molto innamorata di sua mamma.
«Sì, tantissimo. Per me è un angelo. Mia madre faceva tre lavori, solo da un po’ di tempo fa solo la cuoca a tempo pieno. Fino all'adolescenza era sempre impegnata, ma quando la vedevo aveva sempre il sorriso. Mi sono accorta solo da grande di tutti gli sforzi che ha fatto per tirare avanti. Per questo ogni tanto mi sento così piccola accanto a lei, e vorrei regalarle la luna perché se la merita. Nessun figlio potrebbe mai ricambiare tutto quello che ha fatto lei per me».

Suo papà c’era?
«Fino a dieci anni fa, più o meno, c'è stato, ma era come se non ci fosse e non l'abbiamo mai considerato. Era mia madre che manteneva la famiglia. Per assurdo adesso che le cose sono molto più facili e la vita mi sorride, mi rendo conto che la felicità che avevo allora, quando non avevamo nulla, era diversa.Tra i vicini di casa si respirava tanto affetto».

C’è qualcosa che la spaventa di sé?
«Mi spaventa l'idea di perdere il controllo. Ho un equilibrio interiore che ho costruito con gli anni. Poche cose riescono a farmelo perdere, ma quando accade mi spavento, perché è molto difficile rientrare sui miei passi».

Se dovesse avere un figlio, che regalo gli farebbe, anche simbolico?
«Io sono un’atleta e mi sono sempre data come obiettivo la conquista di una medaglia, e poi di un’altra ancora, tralasciando magari un po’ la mia felicità. Ai miei figli darei come consiglio la ricerca della felicità, che è la cosa più importante».

Quando prova un dolore, come reagisce?
«Vado in palestra, mi sfogo e mi scarico. Reagisco al dolore creando un cassetto nuovo. Mi spiego meglio: dentro di me ci sono tanti cassetti e ognuno contiene emozioni, ricordi, cose da tirare fuori in caso di necessità. E quindi se soffro creo un nuovo cassetto e faccio in modo che diventi una parte di me che sta crescendo. Poi cerco di sfruttarlo al meglio». 

La sua tecnica in gara, dicono gli altri pugili, è molto elegante e femminile. Il suo sport non è solo pugni, ma tenuta fisica e soprattutto forza mentale. È la sua arma segreta?
«Sì, perché in gara cerco di far innervosire l'avversario, in modo che la sua testa non sia presente, concentrata. Tendo a farlo impazzire. Per fare questo ci vuole molta tenuta mentale. Perché è facile picchiare con le mani, più difficile picchiare con la testa e il cervello. Ed è nei primi minuti dell’incontro che si crea una connessione speciale, uno scambio di energie con l’avversaria. Si diventa talmente intimi che l’altra atleta diventa la persona più importante della tua vita in quel momento».

La boxe è uno sport femminile?
«Assolutamente sì. È uno sport molto antico, uno dei primi a far parte delle Olimpiadi. Ha molte regole e questo lo rende pulito, chiaro ed è la prima cosa che io associo alla femminilità. Il pugilato è poi definito "la nobile arte" e prevede movimenti fatti in pochissimo tempo: c'è tanta grazia nel pugilato. E il modo di combattere è una danza, femminile per definizione».

© Riproduzione riservata

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