Jude Law: "Io, nella testa di Putin"

Da Papa a “zar”. Jude Law, che era stato alla Mostra del Cinema di Venezia con la serie The Young Pope di Paolo Sorrentino nel 2016, torna quest’anno con un ruolo altrettanto impegnativo. Nel film Il mago del Cremlino, del regista Olivier Assayas, interpreta l’attuale presidente russo Vladimir Putin. Un’impresa che descrive così: «È stato un po’ come scalare l’Everest». E aggiunge che, mentre leggeva volumi su volumi per prepararsi, ha pensato: «Ma che cosa avevo in testa quando ho detto di sì?».
Il film è tratto da un romanzo di Giuliano da Empoli, in cui viene narrata, tra realtà e finzione, l’ascesa al potere di Putin negli Anni 90, da ex agente del KGB a capo indiscusso della Federazione russa, grazie anche ai consigli di Vadim Baranov, un personaggio ispirato all’imprenditore e politico Vladislav Surkov.
L’attore, 52 anni, ha sette figli avuti da quattro relazioni: i più grandi, Rafferty, 28, Iris, 24, Rudy, 22, avuti dall’attrice Sadie Frost, poi Sophia, 16 anni in settembre, nata dalla relazione con la modella Samantha Burke; infine Ada, 10, avuta con la cantante Catherine Harding, e i due più piccoli, di 5 e 2 anni, nati dal matrimonio con la psicologa inglese Phillipa Coan.
La coppia non ha ancora voluto rivelare i nomi e le date di nascita dei due figli. Uno scrupolo che potrebbe sembrare eccessivo per chi non ricordasse la vicenda di oltre una decina di anni fa, legata alle intercettazioni delle conversazioni private dell’attore diffuse dal tabloid inglese News of the World. «Hanno rovistato nella mia vita fino a quando non c’era più nulla da scoprire. Ti trovi nel mezzo di una tempesta che altera la percezione che gli altri hanno di te e la vivi male. Ho cercato di uscirne fuori con il minimo danno possibile, di imparare da quell’esperienza e andare avanti», ha spiegato lui.

Jude Law ha cominciato a lavorare giovanissimo. In televisione fin da ragazzino, ma soprattutto a teatro e, a 23 anni, aveva già debuttato a Broadway, ottenendo una nomination ai premi Tony, gli Oscar del teatro, come miglior attore non protagonista. «Ero convinto che avrei fatto quello per il resto della mia vita. Il cinema mi sembrava un mondo lontanissimo». E, invece, il debutto a Hollywood arriva pochi anni dopo nel film di fantascienza Gattaca del 1997. «Sul set avevo legato molto con Ethan Hawke, ci facevamo un sacco di giri in macchina».
Solo negli ultimi anni, l’attore ha cambiato pelle più volte, con ruoli e generi lontanissimi. Dalla serie di Disney+ Star Wars: Skeleton Crew, a Eden di Ron Howard, ispirato alla storia vera di un medico e filosofo tedesco che, all’inizio del secolo scorso, era andato a vivere su un’isola deserta, fino a L’ultima regina – Firebrand, in cui è il re Enrico VIII. Al suo fianco, Alicia Vikander nella parte dell’ultima moglie, che Law ha ritrovato anche in Il mago del Cremlino. «Interpretare Enrico VIII è stata una sfida enorme. Spero che incoraggi altri registi a offrirmi ruoli simili a questo».
Al Lido, dove Law era stato anche nel 2024 con il film The Order, l’attore incrocerà tra gli altri Julia Roberts (con la quale aveva lavorato nel film Closer del 2004) che partecipa per la prima volta al festival del cinema di Venezia come protagonista di After the Hunt di Luca Guadagnino. E ritroverà Paolo Sorrentino, che apre il concorso con La Grazia. «Paolo l’avevo incontrato la prima volta nel 2011 quando ero in giuria a Cannes. Ero già un suo fan, Le conseguenze dell’amore era uno dei miei film preferiti. Ho pensato che mi sarebbe piaciuto tantissimo lavorare con lui, ha uno stile unico, riesce a tenere insieme oscurità e ironia». Anni dopo arriva la telefonata che attendeva. «Mi propone di incontrarci e mi racconta l’idea di questo pontefice, un personaggio fantastico. Ho studiato latino per mesi. Pensavo che la serie finisse lì: quando mi ha detto che avrebbe girato la seconda stagione, The New Pope, è stata una sorpresa».
Law ha trascorso molti mesi a Roma per le riprese. «Un periodo di grande felicità. Andavo a correre, a fare camminate e senza accorgermene mi trovavo davanti al Vaticano». Il suo rapporto con l’Italia risale a quando era un adolescente e veniva in vacanza con la famiglia. «Mamma mi aveva fatto conoscere il cinema italiano, cercavo di imitare quei personaggi un po’ spavaldi che avevo visto nei film in bianco e nero». Ma, soprattutto, sono legati all’Italia i suoi ricordi del film che ha segnato una svolta decisiva nella sua carriera: Il talento di Mr. Ripley, del 2000, girato in diverse località tra cui Ischia, Napoli e Venezia, per il quale l’attore ottenne la prima candidatura agli Oscar.
«All’epoca ero determinato a togliermi di dosso l’etichetta del sex-symbol, del rubacuori, così quando il regista, Anthony Minghella, mi ha proposto di essere il personaggio bello, affascinante della storia all’inizio ho rifiutato. Ci voleva tutta l’arroganza della gioventù per dire di no a un’offerta del genere, ma temevo di rimanere incastrato in quell’immaginario. In realtà, però, non si trattava tanto dei ruoli che mi venivano offerti, quanto di come i media mi percepivano: invece di parlare delle mie interpretazioni, si soffermavano sul mio aspetto, su come ero vestito. Sul set, con attori giganteschi come Cate Blanchett e Philip Seymour Hoffman, ho dovuto fingere una fiducia in me stesso che non avevo. Ovviamente, mi sbagliavo, la mia carriera sarebbe stata diversa senza quel film».
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