Jovanotti: «Il mondo vero è fatto di gente che s'innamora»

Eccoti, Lorenzo. Come stai? Non sei svenuto dopo quattro notti di Jova Beach Party?
«Dopo la prima a Lignano Sabbiadoro ero in trance. La prima ne vale cinque. Sono in spiaggia dalle due fino a mezzanotte, con tutte le prove i giorni precedenti, il grande caldo. Una sensazione del genere l’ho provata dopo 300 chilometri sulle Ande, ma lì hai solo la responsabilità di te per cui, anche se muori, sei tu. Qui, invece, ho una produzione pazzesca sulle spalle e faccio fatica a distribuire il peso emotivo della cosa. Una produzione più grossa di uno stadio, mai fatta al mondo. Il festival sta lì in un posto, noi ci muoviamo. Ma quando vedo le facce della gente, è un effetto potentissimo. C’è una gioia moltiplicata dal fatto che veniamo da tre anni in cui non si faceva niente».

Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, musicista, 55 anni di passioni, è a casa sua in Toscana durante una pausa delle sue feste sulle spiagge italiane: il Jova Beach Party dove c’è lui alla console, lui con la band, lui con i diversi ospiti italiani e internazionali, lui che canta, lui che balla, lui che ride, lui che invita il pubblico, lui che improvvisa.
Partito il 2 luglio da Lignano Sabbiadoro, il live avrà 21 date e terminerà il 10 settembre all’aeroporto di Milano Bresso: senza mare, ma sempre con noi che balliamo con le braccia alzate.
Ora Lorenzo è nel suo studio. Parla con alle spalle il murales con una foresta piena di colori. Ogni tanto si spruzza in bocca un prodotto naturale per la gola.

Dopo tre anni di pandemia, hai ricominciato dove ci avevi lasciati: il Jova Beach Party. Avevi paura del ritorno?
«La paura è sempre di fianco a me. Fa parte della squadra, ormai. L’importante è che non faccia da allenatore. Sto godendo, ma lei vigila sulla mia tracotanza, mi ricorda che sto dando al pubblico la sua festa».

Com’è il tuo pubblico?
«Veramente bello. Li vedo, li sento. Sono ganzi. C’è dentro di noi uno spazio per la gioia che va valorizzato. Se osservi il mondo attraverso le lenti dei social network, che ormai sono diventati una sorta di realtà parallela, hai l’impressione che sia molto litigioso e anche necrofilo: un mondo a cui la gioia dà fastidio o è diventato un mercato. La vita lì dentro è raramente raccontata. Essere vivi, essere una famiglia oppure prendere, andare, divertirsi non fa clic, ma sono le cose che ti mancano quando per qualsiasi motivo vengono messe in discussione. Io cerco sempre di rimanere centrato su quello. È il materiale delle mie canzoni. Lo progetto sapendo che il mondo è fatto di gente che s’innamora, ha dei progetti, dei fallimenti. La musica, la festa diventano fondamentali, fanno parte delle esperienze di picco, altrimenti la vita sarebbe piatta».
A proposito dell’odio sui social: dopo il primo momento di vicinanza ti hanno attaccato per avere abbattuto alberi sul lungomare di Marina di Ravenna, seconda tappa del tuo tour.
«Io non faccio il gradasso, ci tengo che le cose vengano fatte bene. Perciò mi sono informato su che cosa sia accaduto a quegli alberi. Lì il Comune ha fatto un’operazione di pulizia, noi non l’abbiamo richiesta. Ma ogni volta è così: vengo contestato per qualcosa. È il surf, noi alziamo un’onda alta, tutti la vedono ed è inevitabile avere il dito puntato. Italia Nostra (un’associazione per la salvaguardia dei beni culturali, artistici e naturali, ndr) pubblicò nel 2019 foto di motoscafi davanti al Jova Beach Party e scoprimmo che erano di due anni prima. Loro lo sapevano, questa è disonestà intellettuale: mi usano e io non posso rispondere perché gli darei onda. L’unica cosa che posso fare è cantare le mie canzoni alla gente, perché rimane in me molto solida la sensazione che le persone abbiano un cuore e una capacità di discernimento. Che facciamo? Da domani dovremmo vivere dentro una caverna nutrendoci di muschi e licheni per essere sostenibili? Non è efficace far leva sul singolo individuo, colpevolizzandolo. Succede qualcosa se si muove la politica, e il meccanismo è innescato. Una volta parlavi di plastica e scattava subito lo sbuffo, oggi invece hai la sensazione che il mare sia cambiato, le città siano inquinate e dobbiamo fare qualcosa».

Maria Grazia Chiuri, la direttrice creativa di Dior, ha disegnato per te gli abiti dei tuoi live. Una collezione da pirata. Quanti capi sono?
«Sono 200 pezzi, ciò che li rende “pirata” sono i dettagli: la cintura con il fibbione, i cappelli. È un gioco, io sono un Sandokan che spinge più avanti, in modo da stimolare anche gli altri a disinibirsi. Infatti quest’anno, molto più di tre anni fa, il pubblico arriva truccato, bardato. Questi capi hanno una ricerca e una qualità inimmaginabili, resi possibile da Maria Grazia, che è un genio e ha creato una squadra formidabile. Il clima che si respira nei suoi atelier è bellissimo. I ragazzi del suo team, alcuni cresciuti con la mia musica, hanno avuto per me una partecipazione che va molto oltre il lavoro».
In questi tre anni il tuo veliero da pirata ha conosciuto tempeste. Penso alla malattia di tua figlia Teresa, un tumore del sistema linfatico, e probabilmente alla tua sofferenza d’artista per la lontananza forzata dai palchi.
«È stata la malattia di Teresa il momento down. Su di me la pandemia ha impattato meno: avevo già intenzione di rimanere fermo un paio di anni, poi ripartire. La malattia di Teresa si è risolta, siamo contenti, lei fa i controlli, siamo fortunati a essere nelle mani di un team medico eccezionale. Ma io, sai, ne parlo con difficoltà. Questo è un argomento suo, non mio. Teresa ha 23 anni, è una donna».
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Foto di Leandro Manuel Emede - styling di nick Cerioni
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