Jasmine Trinca: «Sono a Cannes per tornare bambina»
Nelle note di regia di Marcel!, Jasmine Trinca parla di «panni sporchi che non si lavano in casa, ma che diventano bandiere da sventolare». E, ancora, scrive: «In fondo, tutto quel vissuto, quel bagaglio impossibile da fa un’apparizione.
Marcel! è il primo film che Trinca, 41 anni, firma da regista oltre che da co-sceneggiatrice. Non sarebbe potuto essere altrimenti visto che l’ispirazione per la storia viene dalla sua infanzia. Una bambina che ha perso il padre da piccolissima e che cresce con una madre non convenzionale. Ma arriva anche dalla rielaborazione di quei ricordi e dalla sua esperienza di madre di una bambina, Elsa, che oggi ha 13 anni.
Il film, che viene presentato fuori concorso al festival di Cannes il 21 maggio per poi uscire nelle sale il 1° giugno, riprende le atmosfere di Being My Mom, il suo cortometraggio (passato a Venezia nel 2020) e ripropone anche le stesse interpreti: Alba Rohrwacher, nel ruolo della mamma, e la giovanissima Maayane Conti in quello della figlia. Dice Trinca: «Il mio obiettivo era fare una commedia, uno di quei film in cui si ride e si piange insieme. Proprio come la vita».
Mi racconti di questa bambina.
«I figli si lamentano sempre dei propri genitori, più o meno a ragione. Dopo aver fatto tanti anni di analisi, mi sono chiesta: “Ma le cose sono andate davvero come credevo da piccola o ero io che le vedevo in quel modo?”». Dove ha trovato la ragazzina, il suo alter ego del film? «È brava, vero? È la figlia di amici. Faccio un po’ fatica con i bambini attori, mi sembra che la loro autoconsapevolezza davanti alla macchina da presa faccia perdere parte della potenza dell’infanzia. Nel suo essere un po’ “selvaggia”, Maayane mi ricorda me alla sua età».
Perché ha voluto Alba Rohrwacher?
«Il personaggio è stato scritto per lei. Alba era perfetta e mi piace il suo lato circense. A un certo punto abbiamo persino considerato di farla camminare sui trampoli».
Tutto il cast sembra messo insieme pescando tra amici, persone che le sono care. A partire da Valeria Golino che fa un’apparizione.
«Le ho dato il mio ruolo preferito. È l’analista in una scena in cui si assiste a uno psicodramma. L’abbiamo travestita ed è quasi irriconoscibile. Tutti i bambini, non solo la protagonista, sono figli di amici. E sono amici miei anche i due “sosia” di Albano e Romina che, nella vita, fanno tutt’altro: lui è ingegnere, lei restauratrice. Paola Cortellesi ha accettato di fare un piccolo ruolo molto divertente. Giovanna Ralli e Umberto Orsini, che interpretano i nonni, sono stati entrambi generosi».
Con questo film ha voluto rendere omaggio a sua madre?
«Ho cercato di restituirle più che giustizia, giustezza. Soprattutto in Italia, la maternità è sinonimo di accudimento. La mamma è vista come l’angelo del focolare. E, invece, tutto quello che ho sempre cercato di fare, anche come attrice, è stato dare voce a un immaginario diverso. Per me le madri devono essere fallibili. La loro esistenza non deve ruotare intorno ai bambini, è giusto che a volte ricerchino la propria felicità. Sono convinta che il rapporto fra madri e figli sia più complesso di quello che ci viene raccontato. Mia madre era una donna particolare».
In che senso?
«Era una che fumava con i piedi come fa Alba nel film. Dormivamo nella stessa stanza e ricordo ancora le notti passate tra fumo e incenso. Io non riuscivo a prendere sonno perché lei continuava a tirare le monete dei Ching per fare gli oracoli. All’epoca avrei desiderato una vita più tradizionale».
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Foto di ALBERTO NOVELLI
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