E dopo aver trascorso un’estate in compagnia delle mie figlie, che mi hanno seguita dappertutto, è arrivato il primo giorno di scuola — anche per noi. Le bimbe hanno passato l’ultima settimana di vacanze a complimentarsi per lo zaino, l’astuccio e il diario scelto, a elencare il materiale scolastico che hanno già comprato e quello che dovranno comprare, a ripetere di essere eccitate al pensiero del primo giorno in una scuola diversa. Emma va al liceo, Carola alle medie. Ed entrambe hanno un solo desiderio: arrivare puntuali.
Mi sorprende che siano così rispettose nei confronti della scuola, è bello sapere abbiano preso la cosa sul serio... peccato che la loro madre sia una ritardataria cronica.
È domenica pomeriggio quando in famiglia, si decidono le sorti delle bambine: chi accompagna chi?
Emma è molto attaccata a me, non si priverebbe mai di un viaggio/ chiacchierata in macchina con sua madre, ma è più attaccata alla puntualità.
“Io vado con papà!”
Lo dice come se avesse pigiato il pulsante di un quiz a premi e avesse battuto l’avversario sul tempo.
“Carola: tu vai con la mamma.” conclude in tono perentorio.
“Perché io?” chiede delusa.
Quanto mi sento amata in certi momenti.
Sospiro, raggiungo Carola, le prendo il viso tra le mani, e dopo averla guardata negli occhi, le faccio una promessa:
“Saremo puntuali.”
Il suo sguardo mi trasmette una fiducia che non posso tradire. Ce la faremo.
Emma ha puntato la sveglia alle sei e mezza e ha tirato giù dal letto tutta la famiglia. Lei e Giaco sono usciti di casa venti minuti fa, io e Carola ci stiamo infilando le scarpe.
Ci vuole almeno mezz’ora di macchina per raggiungere la sua scuola, ma io ‘l’almeno’ non l’ho proprio calcolato. Carico lo zaino di Carola e partiamo.
I miei occhi restano inchiodati al display del cruscotto, sull’orario, per essere esatti, e per quanto mi sforzi di reprimere quella vocina che mi dice: non ce la farete mai’, non ci riesco.
Non solo non manterrò la promessa, rovinerò pure il suo primo giorno di scuola, e lei mi odierà per l’eternità.
“Amore, possiamo farcela...” dico accarezzandola. “C’è tanto traffico, ma non perdiamo la speranza, okay?”
Vorrei sfruttare la mia ironia per sdrammatizzare e aggiungere che è la sola che ci resta, ma lei mi precede, porgendomi una domanda concreta:
“Cosa succede se arrivo tardi?”
In qualsiasi altra scuola niente, ma in questa, che è severissima, ti giochi la reputazione.
“Non succederà, la mamna farà tutto il possibile.”
Venti minuti dopo, la speranza si palesa: la strada è sgombra.
Posso ancora salvare la reputazione di mia figlia. Ma appena concludo quel pensiero positivo, laggiù, all’orizzonte: l’apocalisse. Questa non è Modena, questa è Manhattan nell’ora di punta: come può esserci un traffico simile?
E lì, ferma sotto l’ennesimo semaforo rosso, mi dico che se potessi scegliere tra lepre e tartaruga, prenderei l’elicottero.
“Tesoro, ti ricordi della speranza di poco fa?”
“L’abbiamo persa... vero?”
Quel faccino desolato mi fa morire piano piano, in silenzio. Devo reagire:
“Carola, ascolta...”
So di essere una madre scellerata, anzi peggio, un cattivo esempio per tutte le mammifere di questo pianeta. E ammetto pure che solo nei film esistono madri tanto idiote, ma...”
“Verrò in classe con te e mi prenderò tutta la colpa.”
Devo aver detto la cosa giusta: ha ripreso a sorridere.
Cinque minuti di ritardo non cambiano la vita a nessuno, ma a mia figlia sì.
Una signora ci ha indicato la posizione della classe e noi ci siamo messe a correre per raggiungerla. Vedo l’aula su cui è apposta una piccola insegna con la sezione: la porta è già chiusa, mi sento morire di nuovo.
E giusto per non farmi mancare niente, incontro pure il preside — che conosco perché Emma ha finito le medie l’anno scorso. Vorrei salutarlo, chiedergli come sta, ma il suo sguardo severo me lo impedisce: alzo le mani.
“È tutta colpa mia...”
“Lo so: è sempre colpa dei genitori, eppure sono sempre i ragazzi a rimetterci.” mormora.
Crede che non mi senta già abbastanza in colpa? O forse che io non lo sappia?
“Ha ragione.” mormoro.
“Accompagni la bambina in classe e chieda scusa.”
Mi metterei in ginocchio sui ceci, se servisse a qualcosa.
“Carola perdonami...” bisbiglio.
“Mamma: può succedere a tutti, adesso basta. Bussi tu o busso io?”
“Busso io.” dico sorridendo.
Riconosco la voce di chi ha appena pronunciato la parola ‘avanti’, è il prof di italiano. Apro la porta, lui sta sorridendo.
Carola scatta e raggiunge Maddalena che ha tenuto un posto vicino a lei, io resto sulla soglia.
“Mi dispiace, abbiamo trovato un sacco di traffico...”
“Può succedere.”
Finalmente, un po’ di comprensione.
“Come si chiama la bambina?”
“Carola. Carola Giacopini.”
“Oh, peccato: l’ho appena segnata assente.”
Illustrazione di Valeria Terranova

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