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Io speriamo che me la cavo…e non è il film con Paolo Villaggio

Io speriamo che me la cavo...e non è il film con Paolo Villaggio

foto di Enrica Alessi Enrica Alessi — 20 Settembre 2019
Io speriamo che me la cavo...e non è il film con Paolo VillaggioIo speriamo che me la cavo...e non è il film con Paolo Villaggio
E dopo aver trascorso un’estate in compagnia delle mie figlie, che mi hanno seguita dappertutto, è arrivato il primo giorno di scuola — anche per noi. Le bimbe hanno passato l’ultima settimana di vacanze a complimentarsi per lo zaino, l’astuccio e il diario scelto, a elencare il materiale scolastico che hanno già comprato e quello che dovranno comprare, a ripetere di essere eccitate al pensiero del primo giorno in una scuola diversa. Emma va al liceo, Carola alle medie. Ed entrambe hanno un solo desiderio: arrivare puntuali. 
Mi sorprende che siano così rispettose nei confronti della scuola, è bello sapere abbiano preso la cosa sul serio... peccato che la loro madre sia una ritardataria cronica. 
È domenica pomeriggio quando in famiglia, si decidono le sorti delle bambine: chi accompagna chi? 
Emma è molto attaccata a me, non si priverebbe mai di un viaggio/ chiacchierata in macchina con sua madre, ma è più attaccata alla puntualità.
“Io vado con papà!”  
Lo dice come se avesse pigiato il pulsante di un quiz a premi e avesse battuto l’avversario sul tempo. 
“Carola: tu vai con la mamma.” conclude in tono perentorio. 
“Perché io?” chiede delusa. 
Quanto mi sento amata in certi momenti. 
Sospiro, raggiungo Carola, le prendo il viso tra le mani, e dopo averla guardata negli occhi, le faccio una promessa: 
“Saremo puntuali.”
Il suo sguardo mi trasmette una fiducia che non posso tradire. Ce la faremo. 

Emma ha puntato la sveglia alle sei e mezza e ha tirato giù dal letto tutta la famiglia. Lei e Giaco sono usciti di casa venti minuti fa, io e Carola ci stiamo infilando le scarpe. 
Ci vuole almeno mezz’ora di macchina per raggiungere la sua scuola, ma io ‘l’almeno’ non l’ho proprio calcolato. Carico lo zaino di Carola e partiamo. 
I miei occhi restano inchiodati al display del cruscotto, sull’orario, per essere esatti, e per quanto mi sforzi di reprimere quella vocina che mi dice: non ce la farete mai’, non ci riesco.
Non solo non manterrò la promessa, rovinerò pure il suo primo giorno di scuola, e lei mi odierà per l’eternità. 
“Amore, possiamo farcela...” dico accarezzandola. “C’è tanto traffico, ma non perdiamo la speranza, okay?”
Vorrei sfruttare la mia ironia per sdrammatizzare e aggiungere che è la sola che ci resta, ma lei mi precede, porgendomi una domanda concreta: 
“Cosa succede se arrivo tardi?”
In qualsiasi altra scuola niente, ma in questa, che è severissima, ti giochi la reputazione. 
“Non succederà, la mamna farà tutto il possibile.” 
Venti minuti dopo, la speranza si palesa: la strada è sgombra. 
Posso ancora salvare la reputazione di mia figlia. Ma appena concludo quel pensiero positivo, laggiù, all’orizzonte: l’apocalisse. Questa non è Modena, questa è Manhattan nell’ora di punta: come può esserci un traffico simile? 
E lì, ferma sotto l’ennesimo semaforo rosso, mi dico che se potessi scegliere tra lepre e tartaruga, prenderei l’elicottero. 
“Tesoro, ti ricordi della speranza di poco fa?”
“L’abbiamo persa... vero?”
Quel faccino desolato mi fa morire piano piano, in silenzio. Devo reagire: 
“Carola, ascolta...”
So di essere una madre scellerata, anzi peggio, un cattivo esempio per tutte le mammifere di questo pianeta. E ammetto pure che solo nei film esistono madri tanto idiote, ma...”
“Verrò in classe con te e mi prenderò tutta la colpa.” 
Devo aver detto la cosa giusta: ha ripreso a sorridere. 
Cinque minuti di ritardo non cambiano la vita a nessuno, ma a mia figlia sì. 
Una signora ci ha indicato la posizione della classe e noi ci siamo messe a correre per raggiungerla. Vedo l’aula su cui è apposta una piccola insegna con la sezione: la porta è già chiusa, mi sento morire di nuovo. 
E giusto per non farmi mancare niente, incontro pure il preside — che conosco perché Emma ha finito le medie l’anno scorso. Vorrei salutarlo, chiedergli come sta, ma il suo sguardo severo me lo impedisce: alzo le mani. 
“È tutta colpa mia...” 
“Lo so: è sempre colpa dei genitori, eppure sono sempre i ragazzi a rimetterci.” mormora. 
Crede che non mi senta già abbastanza in colpa? O forse che io non lo sappia? 
“Ha ragione.” mormoro. 
“Accompagni la bambina in classe e chieda scusa.”
Mi metterei in ginocchio sui ceci, se servisse a qualcosa. 
“Carola perdonami...” bisbiglio. 
“Mamma: può succedere a tutti, adesso basta. Bussi tu o busso io?”
“Busso io.” dico sorridendo. 
Riconosco la voce di chi ha appena pronunciato la parola ‘avanti’, è il prof di italiano. Apro la porta, lui sta sorridendo. 
Carola scatta e raggiunge Maddalena che ha tenuto un posto vicino a lei, io resto sulla soglia.
“Mi dispiace, abbiamo trovato un sacco di traffico...” 
“Può succedere.” 
Finalmente, un po’ di comprensione. 
“Come si chiama la bambina?” 
“Carola. Carola Giacopini.” 
“Oh, peccato: l’ho appena segnata assente.”

Illustrazione di Valeria Terranova


Io speriamo che me la cavo…e non è il film con Paolo Villaggio

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