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«Io non sono una persona normale»: l’editoriale di Silvia Grilli

«Io non sono una persona normale»: l'editoriale di Silvia Grilli

foto di Silvia Grilli Silvia Grilli — 25 Luglio 2024
Silvia Grilli
Il nuovo numero di Grazia è ora in edicola e su app. Ecco l'editoriale della Direttrice Silvia Grilli

Io non sono una persona normale. Almeno stando al giovane e pungente candidato vice presidente repubblicano alla Casa Bianca, James David Vance. Il senatore americano, scelto come delfino da Donald Trump, considera infatti le madri che lavorano «cattive donne e non gente normale».

La mia amica Giuditta, che non ha figli, per Vance sarebbe solo una «gattara triste». Quelle di noi che hanno interrotto la gravidanza andrebbero paragonate agli schiavisti, perché avrebbero inflitto ai feti le stesse torture subìte dagli schiavi. Se siete state stuprate o siete state vittime di incesto, non interrompete la gravidanza perché «due sbagli non fanno una cosa giusta».

Sto citando alla lettera i discorsi di Vance e, mentre scrivo, mi sento male. Queste parole sono feroci come coltelli, ma il fendente più profondo è quando il candidato proclama che, per il bene dei figli, le donne debbano rimanere anche in matrimoni violenti. Perché non è detto che poi siano felici «cambiando mariti con la stessa frequenza con cui cambiano le mutande».

Poiché il senatore è una persona colta e cinica, non un ignorante sprovveduto, le sue idee mi fanno ancora più paura. Prospettano il futuro misogino di una società oscurantista, un po’ come quella descritta nel libro di Margaret Atwood Il Racconto dell’Ancella, dove le donne fertili vengono sepolte in casa a servire e partorire, e quelle non fertili chiuse in salotto a fare le mogli. La sua misoginia mi fa ancora più paura perché è la stessa, ora nascosta, di tanti. Gente che adesso si vergogna a esprimerla, ma forse tra un po’ non avrà più ritegno.

Noi sappiamo che il progresso non procede per linee rette, che ci possono essere involuzioni e che si può tornare indietro, com’è accaduto in Iran dove le donne facevano parte della classe dirigente e ora vengono uccise se non indossano il velo come lo prescrivono gli ayatollah.

Io stessa ho sentito e sento sulla pelle il peso dei pregiudizi sessisti: una brava madre è quella che rinuncia al lavoro fuori casa per stare con i bambini, una donna senza figli è una mezza donna. Me lo hanno rinfacciato, prima che mettessi al mondo mia figlia e anche dopo che è nata. E tutte noi ce lo siamo sentite dire almeno una volta: «Prima la famiglia. Porta pazienza se il tuo matrimonio è infelice, bisogna sacrificarsi per il bene dei figli».

Se questa misoginia venisse nobilitata in America, sarebbe un disastro per il mondo intero.

Significherebbe continuare a essere messe nella condizione di dover scegliere tra lavoro fuori casa e famiglia. E saremmo colpevolizzate e anche considerate un po’ cretine se optassimo per il primo. Vance lo sostiene in maniera così convincente da poter riuscire a persuadere molte di noi: «Il mondo ti dice che è sbagliato per le donne diventare madri e basta, ma è liberatorio lavorare 90 ore la settimana nel cubicolo di un ufficio?».

È così manipolatorio il suo pensiero da farci dimenticare che il punto non è dover scegliere se massacrarci in un impiego o rinunciarci. No, il punto è la condivisione tra uomini e donne: della genitorialità in casa, delle carriere fuori. Non si risolve la questione con l’apartheid di genere. Quello porta a un solo risultato: mantenere il potere dei maschi. 

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