«L'invidia del pene non esiste, il contrario sì»: l'editoriale di Silvia Grilli

È stata mia madre la prima ad aprirmi gli occhi. Quando le raccontavo i problemi che avevo con un certo fidanzato, mi avvertiva: «È invidioso». Quel ragazzo non sopportava che io fossi laureata e lui no. Come prova d’amore mi chiese di non dare l’esame di giornalismo prima di lui. Stupidamente, lo aspettai. Ero giovane e molto confusa. Non riuscivo a capacitarmi che la persona che diceva di volermi bene in realtà aspirasse a farmi male. La mia mamma, invece, lo capiva.
Mark Samson, 23 anni, che ha fatto a pezzi e rinchiuso in una valigia il corpo della fidanzata Ilaria Sula, 22, non reggeva il successo della ragazza negli studi. Lei gli chiedeva conto dei suoi voti. Lui, che cinque anni dopo l’iscrizione aveva sostenuto un solo esame e frequentava le lezioni a singhiozzo, viveva di menzogne. E, mentre Ilaria pretendeva sincerità sul suo curriculum alla Sapienza, lui vedeva sgretolarsi il suo castello di bugie.
Anche Stefano Argentino, 27 anni, che a Messina ha ucciso a coltellate la collega ventiduenne Sara Campanella, aveva poche passioni, meno ambizioni e un grande ritardo negli studi. Lei era brillante e determinata, lui non era capace di accettare i propri limiti.
Come Filippo Turetta, d’altronde. Indietro con gli esami, a 23 anni non accettava che Giulia Cecchettin si laureasse prima di lui. Le chiedeva di rimandare la laurea e aspettarlo. Lei non voleva, lui l’ha uccisa.
Tre ragazze che inseguivano i loro sogni: la laurea, l’indipendenza, lavori appassionanti. Tre giovani assassini che si ritenevano vittime di arriviste che li facevano soffrire. Uomini che galleggiano nella loro inconcludenza e uccidono per frustrazione, invidia, vendetta, virilità lesa, ragazze che meritavano di morire perché li facevano soffrire. Donne uccise in quanto donne. Perché questi esseri mediocri non hanno accoltellato il professore che dava brutti voti, il padre che chiedeva conto degli esami non dati, o l'amico che aveva voltato le spalle. No, hanno ucciso ragazze che dicevano di amare.
Non è amore: è una dinamica di potere dove tu, in quanto uomo, hai il diritto congenito di comandarla. E, se lei non ubbidisce, ti senti giustificato a ucciderla, perché da sempre i nostri corpi sono a loro disposizione.
Nella storia dell’umanità gli uomini sono sempre stati invidiosi delle donne per la loro bellezza e soprattutto per la nostra capacità di procreare che hanno sempre cercato di controllare. Oggi aggiungono gli stessi motivi per cui prima erano gelosi degli altri uomini: le nostre lauree, le nostre carriere, il nostro conto corrente e la nostra indipendenza. Non riescono a sopportare che non abbiamo più bisogno di loro.
La loro impotenza è deflagrante. L’età degli assassini e stupratori si abbassa, come quella delle vittime. E mentre noi ci chiediamo ogni giorno chi sarà la prossima, veniamo oltraggiate da sentenze come quella che ha escluso per Turetta l’aggravante della crudeltà. Per la Corte d’Assise di Venezia 75 coltellate per uccidere Giulia non erano un modo per fare scempio del suo corpo. Erano semplicemente inesperienza. Per i giudici mancava all’assassino “la competenza per infliggere alla vittima colpi più efficaci, idonei a provocare la morte in modo rapido e pulito”.
Siamo niente, siamo solo degli slogan quando serve. L’ aula del Senato era quasi deserta, qualche giorno fa, durante un’interrogazione sulla violenza di genere e la tutela delle vittime. E la conta delle donne uccise, violentate, inascoltate, trafitte da verdetti che le uccidono due volte, non si ferma.
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