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Elena Bonetti: “Il potere femminile giova all’Italia”

Elena Bonetti: "Il potere femminile giova all'Italia"

foto di Redazione Redazione — 25 Maggio 2020
The Italian minister for the family Elena Bonetti, duringThe Italian minister for the family Elena Bonetti, during
Gli studi internazionali confermano che nel nostro Paese aumenta il divario di genere. La ministra per le Pari opportunità, Elena Bonetti, spiega a Grazia come costruire una società migliore partendo dalla famiglia, dai libri di scuola e arrivando al mondo del lavoro

di MONICA BOGLIARDI

Nella classifica sulla parità tra uomini e donne, l’Italia è 76ª su 153 Paesi. Lo dice il Rapporto 2020 del Forum Economico mondiale. Niente di cui essere fieri. Eppure nell’emergenza Covid-19, le donne hanno dato di più. Fuori casa, dove sono il 70 per cento del personale sanitario. E in casa, facendo lo smart working e le maestre dei figli. Poiché le azioni non bastano per ridurre il divario con i maschi, serve un intervento culturale sulla nostra società. Grazia ne ha parlato con la ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti. Sposata, due figli di 10 e 14 anni, ha una passione per la risoluzione dei problemi: è docente universitaria di Analisi matematica.

Partiamo dalla scuola. Come aumentare la presenza femminile nelle facoltà scientifiche e tecnologiche, spingendo le donne verso le professioni del futuro?
«È la sfida principale per l’empowerment femminile. Serve una maggiore presenza della matematica fin dalla prima età scolare. L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo segnala che in Italia il divario tra le competenze matematiche di maschi e femmine è più alto che in altri Paesi europei. Non solo: la matematica va raccontata al femminile, come disciplina in cui servono, nella risoluzione dei problemi, capacità femminili come creatività e multidimensionalità. Le donne sono precise, ma nell’affrontare una sfida matematica, pur di non fare errori, troppe ragazze fanno un passo indietro. Far studiar loro i numeri in modo diverso equivale a potenziare la fiducia in se stesse. E poi: la scienza del futuro, l’Intelligenza artificiale, dialogherà sempre più con le materie umanistiche e necessiterà di approcci femminili come empatia e tendenza al multitasking (svolgere più compiti insieme, ndr). Cosa che alle donne riesce bene. Si studierà Ingegneria insieme con la Filosofia».

Nei libri di testo delle elementari ci si imbatte ancora in luoghi comuni sessisti: per esempio, si vedono la mamma ai fornelli e il papà in ufficio. Ha pensato a un progetto con il ministero dell’Istruzione per contrastarli?
«Abbiamo dato delle indicazioni molto precise, insieme al Miur, alle scuole e all’editoria, perché vigilino sugli stereotipi: vanno monitorati perché possono portare, nella loro forma estrema, a favorire la violenza contro le donne».

Lei è anche ministra della Famiglia. I congedi di paternità obbligatori, portati ora a sette giorni, non potrebbero essere un passo per coinvolgere gli uomini nella gestione familiare?
«Sì. Nel nostro Family Act, che doveva essere discusso nei giorni in cui è deflagrato il Covid-19, si prevedono 15 giorni obbligatori di congedo paternità, che possono diventare un mese. Ma questa decisione costa tanti soldi, perché gli uomini guadagnano più delle donne. Anche quei due giorni in più hanno fatto fatica a essere accettati. Ma gli uomini si accorgeranno di quanta ricchezza acquisiscono occupandosi dei figli da subito, paritariamente, con la loro compagna».

Nella Fase 2, con i figli a casa da scuola, è probabile che a tornare in ufficio siano gli uomini. Non sarebbe invece importante che la percentuale fosse la stessa per i due sessi?
«Le donne hanno retto l’emergenza Covid, essendo la stragrande maggioranza nelle categorie che non hanno fatto smart working: personale sanitario e grande distribuzione. Quando si è deciso quali settori riaprire per primi, si è scelto settori industriali a prevalenza di forza lavoro maschile. Sarebbe stato meglio, anche da un punto di vista epidemiologico, far uscire più donne sotto i 50 anni: sembra siano meno esposte degli uomini a sviluppare la forma grave della malattia. Per aiutare le aziende femminili abbiamo creato un fondo di 5 milioni di euro per il credito alle aziende gestite da donne, così da farle uscire di casa nella Fase 2. Anche il bonus baby sitter da 1.200 euro del decreto Rilancio, spendibile nei centri estivi, è pensato per non obbligare le donne a stare a casa fino alla ripresa scolastica».

La legge sulle Quote rosa nei consigli di amministrazione delle società quotate ha funzionato: la presenza delle donne va dal 30 al 40 per cento. Ma ci sono poche presidenti e amministratrici delegate. Perché non prevedere le quote rosa anche per i vertici aziendali?
«Per me le quote non sono un obiettivo, ma una fase per l’attivazione di un processo che dovrebbe essere naturale. Per le figure apicali serve anche incentivare le aziende che si distinguono nel numero di promozioni “alte” femminili, tra cui quelle due cariche».

Ogni mattina, in Italia, esce di casa metà delle donne in età lavorativa, circa 10 milioni. Una volta mamme, però, molte lasciano il posto per il costo delle baby sitter o l’assenza dei nonni. Come far salire la popolazione che lavora?
«Nel Family Act per le donne che, dopo il congedo di maternità di cinque mesi, tornano al lavoro, ho previsto: stipendio pieno, orario flessibile per l’allattamento, smart working e incentivo per la baby-sitter. E per chi vuole usare i mesi della maternità per acquisire competenze digitali, ci sono corsi di formazione online gratuiti. Infine, va abbattuta la retta proibitiva dei nidi, ma a questo ci ha già pensato la “Finanziaria” 2020 con il bonus nido».

L’imprenditoria femminile cresce, ma non ha risorse.
«Il problema non è solo economico. Va potenziata la formazione finanziaria delle donne. Il fondo di cui parlavo prima è proprio diretto alle aziende femminili, e funziona come microcredito, cioè non mero finanziamento, ma accompagnamento nel creare il progetto, e nel fissare le fasi della restituzione del debito. Le donne hanno un tasso di restituzione più alto di quello maschile. E abbiamo ideato anche un “microcredito di libertà”, 2 milioni di euro, per le vittime di violenza che, uscite dalle strutture protette, vogliono creare da zero un loro lavoro».

C’è poi la disparità salariale. Non si può obbligare per legge le aziende a istituire una figura che controlli le differenze?
«In Italia il problema non è tanto la disparità salariale oraria tra uomo e donna (che nella Pubblica Amministrazione non c’è quasi), o nella disparità di salario a parità di livello e mansioni. Ma nel fatto che la donna ha posti di lavoro meno qualificati e quindi in un anno guadagna molto meno di un uomo. Vanno instaurati meccanismi di promozione delle donne a posti ad alto reddito. Aumentando la trasparenza aziendale: rendendo obbligatorie e non facoltative, come oggi, pratiche come il bilancio di genere, il report che stabilisce l’impatto delle politiche di genere su un’azienda. E incentivando chi fa più promozioni femminili a cariche ad alto stipendio».

Le donne in Parlamento sono il 35 per cento, poche sono a capo di commissioni importanti. E quando si alleano tra partiti diversi per battaglie su cause femminili, a volte non centrano gli obiettivi. Coinvolgere più uomini servirebbe?
«In tutte le commissioni parlamentari andrebbero messi uomini e donne al 50 per cento. E così in tutti i luoghi decisionali della politica. Vanno coinvolti gli uomini anche nelle commissioni fatte da donne di partiti diversi, e che combattono per cause femminili. Non perché abbiano bisogno degli uomini per contare di più, ma perché le decisioni coinvolgeranno anche i cittadini maschi».

C’è un Paese cui s’ispira per le sue politiche?
«La Francia. Ha capito che l’empowerment femminile giova a tutti. E puntando su servizi a sostegno delle famiglie, ha alto tasso di natalità e, al contempo, alto tasso di lavoratrici».

Lei con suo marito condivide i compiti familiari?
«Sì, lo abbiamo deciso fin dall’inizio. In queste settimane io sono a Roma e lui, a Mantova, gestisce la casa e i figli. In videochiamata mi hanno detto che il papà ora fa la pizza molto meglio di me».

Articolo pubblicato sul numero 23 di GRAZIA (21 maggio 2020)

© Riproduzione riservata

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