Elisabetta Franchi: «In quelle frasi non mi riconosco»

Il Tribunale del lavoro di Busto Arsizio (Varese) ha condannato l’imprenditrice Elisabetta Franchi per le frasi pronunciate due anni fa durante l’evento “Donna e moda”. Ma secondo la stilista quelle affermazioni, estrapolate da un contesto e fraintese, intendevano in realtà denunciare il tetto di cristallo che non permette alle donne di fare carriera.
Per quelle parole, in cui non si riconosce, Franchi dovrà risarcire con 5mila euro l'Associazione nazionale per lotta alle discriminazioni e adottare entro sei mesi un piano di formazione aziendale sulle politiche discriminatorie, con corsi annuali e l'intervento di esperti, ai quali dovranno partecipare tutti i dipendenti.

Quale è stata la sua prima reazione a questa sentenza?
La mia reazione è stata di grande e sincero stupore. Voglio ribadire ancora una volta che in quelle frasi non mi riconosco. Sono state estrapolate da un contesto e così facendo sono state fraintese. Ero a una conferenza che parlava delle donne ai vertici che ricoprono cariche importanti e avevo appena fatto una premessa dicendo che gli imprenditori ragionano così. La mia intenzione era denunciare una situazione imprenditoriale, ribadire che c’è un tetto di cristallo che non permette alle donne di fare carriera per una serie infinita di motivi, in primis che sono caricate di troppi fardelli familiari. Un tetto da infrangere perché non c’è ancora un sistema che aiuti a tenere insieme famiglia e carriera professionale. Ed è a questo punto che ho detto “quando arrivi a coprire certe cariche, hanno già fatto il giro di boa”. Ma era una battuta a cui in tanti hanno riso ma che per altri è stata infelice.
Una battuta che ha fatto arrabbiare tante donne.
Non si diventa dirigenti a 20 anni, ma con grande fatica quando ne hai più di 40. Sono madre, so quanto sia difficile tenere tutto insieme. Il motivo per cui ci sono poche dirigenti in Italia è esattamente quello. La mia era una denuncia, mentre le mie parole sono state estrapolate dal contesto e sono stata attaccata.
Che cosa ha pensato in quei giorni?
Ero sotto shock. Vittima anche di un paradosso perché nella mia azienda l’80 per cento sono donne. Al momento della dichiarazione contestata, le donne nei ruoli dirigenziali dell'azienda erano il 66 per cento. Il 51 per cento delle donne presenti in azienda hanno meno di 40 anni e, nei ruoli di responsabilità, la presenza femminile è ed è stata ampiamente maggioritaria, superando il 70%, con assunzioni avvenute ben prima dei quarant'anni e successive progressioni di carriera. Questa è la mia azienda. E poi ricordo che dal 2020 sostengo l’associazione Mondo Donna che accoglie e si prende cura delle donne che hanno subito violenza e lavora alla loro reintegrazione nell’ambiente lavorativo. Dal 2021 sostengo L’Ospedale Sant’Orsola nell’iniziativa del reparto ginecologia e ostetricia per denunciare la violenza sulle donne e dal 2023 la mia azienda Betty Blue è partner principale della squadra di calcio femminile del Bologna.
Adesso che cosa farà?
Questa sentenza è così ingiusta che posso tornare a spiegare le mie ragioni. Il risarcimento di 5mila euro all'Associazione nazionale lotta alle discriminazioni insieme all’obbligo di formazione mi indignano perché ho sempre lottato per le donne e nella mia azienda c’è una grande attenzione all’empowerment femminile.
Pensa che ci sia stato accanimento nei suoi confronti?
Sì. Condannarmi per una frase ripresa fuori contesto è paradossale. L’opinione pubblica si è divisa in due parti, ma il sostegno di coloro che sono fedeli al brand e mi conoscono davvero è stato decisivo. Sono una donna forte che ama le donne e le sostiene.
Ricorrerà in appello?
Certo, per una questione di principio e di rispetto della verità.
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