«In difesa della Regina Camilla»: l'editoriale di Silvia Grilli

Il nuovo numero di Grazia è ora in edicola e su app. Ecco l'editoriale della Direttrice Silvia Grilli
Mi ha fatto un certo effetto vedere Camilla incoronata regina del Regno Unito. Per 30 anni è stata una delle donne più odiate al mondo.
Era considerata la cattiva che aveva tramato per distruggere il matrimonio di Carlo e Diana. Era la rivale non bella che la principessa aveva soprannominato «Rottweiler». Era la persona, non gradita ai media e inopportuna, che la sovrana Elisabetta aveva escluso dal funerale di Lady D. Il principe Harry ha accusato la matrigna di essere «pericolosa», «malvagia» e in una serie d’interviste televisive ha dichiarato che «aveva fatto una campagna finalizzata al matrimonio e alla corona» chiedendo ai giornalisti amici di «riabilitare la sua immagine».
Sappiamo che in realtà Camilla e Carlo si sono sempre amati. La nuova monarca è solo una donna che ha sposato l’uomo a cui genuinamente vuole bene e che la voleva accanto. All’incoronazione, mentre il re sembrava schiacciato dal peso del dovere, lei aveva un’aria leggera, come se invece di un diadema le avessero dato l’anello nuziale. Eppure in molti mai le perdoneranno ciò che accadde negli Anni 90, a causa di un pregiudizio che resiste: se un matrimonio si sfascia, la colpa è dell’«altra donna».
Le nostre menti si cristallizzano nella convinzione monolitica che quella femmina sia un essere terribile. D’altronde nel corso della storia le femmine sono sempre state il bersaglio delle paure della società: pensiamo alle streghe bruciate, alle donne coperte col burqa o lapidate, alle ragazze oggi uccise perché non indossano il velo in modo appropriato. Sei figli, un divorzio e tante battaglie legali dopo, molti ancora odiano Angelina Jolie che avrebbe portato via Brad Pitt a Jennifer Aniston, mentre assolvono lui. Sappiamo perfettamente che bisogna essere in due a ballare il tango, perché continuiamo a scaricare la responsabilità sulle femmine?
Siamo abituati a vedere gli uomini agire fuori dalle regole, mentre le donne devono sempre essere gentili e accomodanti per ottenere l’altrui approvazione. Quando questo non avviene, pensiamo che tradiscano la loro natura di brave ragazze. «L’altra» è così vista come una prostituta, mentre lui solo criticato per aver fatto un errore. Si crede che fare fuori la rivale tentatrice risolva la situazione, invece di guardare in faccia la realtà: forse quel matrimonio non funziona così bene.
Alle femmine viene chiesto di controllare la sessualità in modi che la nostra cultura non pretende dai maschi. È come se fossimo responsabili non solo del nostro desiderio, ma anche di quello degli uomini e che in qualche modo sia nostro compito non indurli in tentazione. Sono idee legate a vecchi stereotipi sessisti, ma ancora resistono, visti certi processi per stupro dove si chiede alla vittima di dimostrare di non aver invitato lo stupratore.
Dare la colpa all’«altra donna» permette di rappresentare i maschi come povere vittime del proprio pene, invece di adulti che prendono delle decisioni. Ma il doppio standard ha un effetto tossico anche su di noi. Quando ci rendiamo conto che le azioni dei maschi vengono spesso giustificate, facciamo ricadere la colpa su noi stesse. Accade infatti spesso che le vittime di violenza si considerino responsabili di quanto hanno subìto e si colpevolizzino per avere bevuto troppo o indossato abiti che possano avere suscitato attenzioni indesiderate. D’altronde per secoli è stato facile fare soffrire le donne per i peccati degli uomini.
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