«Il peccato delle donne del Papa»: l'editoriale di Silvia Grilli
A Bologna, durante gli anni del liceo, vivevo in un pensionato di suore laiche. Ho molti ricordi di quel periodo, ma uno, in particolare, mi torna in mente in questi giorni: le tavole che le religiose imbandivano per i sacerdoti.
Erano pranzi a cui noi ragazze, ovviamente, non eravamo invitate. Ma mi colpiva il fatto che le suore, da noi considerate nel nostro piccolo mondo come culmine dell’autorità, diventavano improvvisamente gregarie e sottomesse al cospetto dei ministri del culto.
Anche adesso, mentre scorro la lista dei 135 cardinali che, dopo la morte di Jorge Mario Bergoglio, potrebbero diventare papi, mi colpisce l’enormità dell’esclusione delle donne.
Leggo tutti gli articoli, ascolto tutte le notizie e nessun commentatore sembra vedere, nessuno ha niente da ridire, forse perché in un periodo di grande lutto si considera indecoroso sindacare su una questione talmente ovvia: una femmina non può diventare pontefice.
Lo sappiamo dai tempi del catechismo, quando abbiamo imparato che Gesù scelse 12 discepoli tutti maschi, i quali, a loro volta, continuarono a scegliere altri maschi. La questione del sacerdozio femminile non è mai stata presa in considerazione neppure da Papa Francesco.
Eppure io credo che, nella battaglia per la dignità di tutti, e per la Chiesa più inclusiva che Bergoglio nei suoi momenti più belli aveva tentato di creare, non si può pensare di cancellare metà del genere umano. Dal mio punto di vista, la discriminazione come norma è un peccato.
I primi anni del cristianesimo raccontano una storia diversa: le donne avevano posizioni di guida. A mano a mano che la Chiesa diventava più gerarchica e istituzionale, sono state escluse dai ruoli preminenti. Nel Medioevo c'erano le mistiche e le teologhe, poi le figure femminili furono allontanate dalle politiche ecclesiastiche e dai dibattiti teologici.
Negli ultimi due secoli, la Chiesa cattolica ha resistito a qualsiasi ondata femminista. Nel suo pontificato, Bergoglio ha continuato a negare alle donne l’accesso al sacerdozio, tuttavia ha aperto una breccia nelle trincee conservatrici della Chiesa. Ha nominato più donne di qualsiasi altro Papa prima di lui.
Prima della sua morte, per esempio, Francesco ha scelto Suor Raffaella Petrini come governatrice dello Stato della Città del Vaticano, il più alto incarico mai affidato a una donna nella storia della Chiesa cattolica. O ha designato Suor Simona Brambilla come Prefetta del Dicastero Vaticano per la Vita Consacrata.
Cariche che prima per noi sarebbero state impensabili, e hanno segnato un lento cambiamento nell’atteggiamento della Chiesa cattolica.
Ma ora il riformatore Francesco se n’è andato. Dopo quattro anni di lavori, all’ultimo Sinodo è stato respinto il testo che, esortato da Bergoglio, avrebbe dovuto aprire la discussione sull’accesso delle donne ai ministeri. Dopo la morte del Papa, non sappiamo se la sua spinta riformatrice sarà onorata.
Sappiamo invece con certezza che la struttura patriarcale della Chiesa è intatta. Non importa quanto possiamo diventare influenti, le più alte cariche della Chiesa sono vietate alle donne. Ma non si può pensare di fare il bene dell’umanità continuando a cancellare metà del genere umano.
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