Helen Fielding: «Siamo ancora le sorelle di Bridget»
Tra la fine degli Anni 90 e l’inizio del 2000, la serie tv Sex and the City e il film Il diario di Bridget Jones hanno cambiato radicalmente l’immagine della donna single in carriera.
Ma, a distanza di 20 anni dalla prima apparizione sugli schermi della goffa giornalista televisiva inglese creata da Helen Fielding - la versione cinematografica del suo romanzo uscì in Inghilterra il 4 aprile 2001 con protagonista Renée Zellweger – sembrerebbe proprio che la seconda abbia vinto sul tempo.
Da allora non abbiamo mai smesso di rispecchiarci in questa infrangitrice professionista di buoni propositi, ambiziosa ma insicura, divisa fra l’attrazione per il seducente Daniel (Hugh Grant) e l’affidabile Mark (Colin Firth).
Fielding, che ha visto la sua eroina diventare la protagonista di una trilogia di libri e di film (l’ultimo, Bridget Jones’s Baby, è uscito nel 2016), è molto felice che il suo personaggio continui a essere amato dalle ragazze.
Proviamo, però, a guardare un altro lato della questione. Non potrebbe essere il segnale che la condizione femminile non è cambiata abbastanza?
«Onestamente, penso che quello in cui tutte continuiamo a identificarci sia la distanza fra la maniera in cui ci presentiamo al mondo, la persona che sentiamo di dover essere, e ciò che siamo davvero. Una frattura che si è allargata con l’esposizione sui social media. Quando scrissi il mio primo romanzo, facevo riferimento agli stereotipi creati dalle immagini delle modelle sulle riviste ritoccate con Photoshop. Oggi, le ragazze dell’età di mia figlia (Romy, 15 anni, mentre il maggiore, Dashiell, ne ha 17, ndr) modificano le loro stesse foto prima di postarle. Le teenager presentano una versione idealizzata di sé persino ai loro amici, che le conoscono per come sono».
Lei che rapporto ha con i social?
«Ho chiuso i miei profili all’inizio del lockdown e, da allora, sono molto più felice. Andare avanti con la propria vita è già abbastanza impegnativo senza dover fare i conti con quello che ne pensano gli altri. Ma non è un attacco alla tecnologia. Le mie amiche, anche a distanza, hanno potuto mantenere un legame basato sul senso dell’umorismo. Ho visto girare molti “meme” e video buffi su quanto ci sentiamo inadeguate nonostante tutte le nostre buone intenzioni. C’è un video che è diventato virale, in cui si vede una mamma che parla entusiasticamente della sua esperienza di avere i bambini a casa tutto il giorno, salvo esplodere in terribili imprecazioni quando, in sottofondo, si sente una voce infantile che chiama: “Mamma”».
È questa la lezione di Bridget?
«Lei ci mostra come si può essere umane, gentili, divertenti, aperte, vere. Ci fa capire che dare e ricevere aiuto dagli amici sia molto più importante di ogni falsa perfezione. Bridget rappresenta la perfezione dell’imperfezione».
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Testo di Enrica Brocardo
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