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Grazia

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Greta Scarano: «Senza rischio che gusto c’è?»

Greta Scarano: «Senza rischio che gusto c’è?»

foto di Simona Coppa Simona Coppa — 13 Ottobre 2015

Sul set di Suburra, il suo nuovo film, stava per finire tra le fiamme. E anche in tv sceglie solo ruoli pericolosi e tormentati. Greta Scarano è una ragazza coraggiosa dentro e fuori lo schermo. C’è solo una cosa che le mette ansia: «Il tappeto rosso»

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Metto a posto i cuscini del divano e controllo i vol-au-vent al prosciutto che ho messo a scaldare in forno. Mi guardo intorno: l’ordine, almeno quello apparente, c’è. La porta della camera di mia figlia rigorosamente chiusa, lei volatilizzata. L’idea che io facessi un’intervista a casa nostra l’ha intimidita, ha chiamato di corsa un’amica, ha preso la borsa ed è uscita alla velocità della luce. Non mi ha chiesto neanche il nome dell’attrice che stavo per incontrare.
Del resto anche per me questa è una prima assoluta. In tanti anni di mestiere di giornalista non è mai capitato che invitassi da me l’intervistato. E direi che è stato meglio così, visto che per un certo periodo mi sono occupata di cronaca nera, omicidi, rapimenti, bombaroli.

Alle due in punto Greta Scarano suona il campanello. Mi trovo di fronte una ragazza con i capelli castani, completamente diversa da come appare nel suo ultimo film Suburra di Stefano Sollima - lo stesso regista delle serie televisive Romanzo Criminale e Gomorra - tratto dal romanzo omonimo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo (pubblicato da Einaudi). Nel cast, accanto a Greta, ci sono Pierfrancesco Favino, Elio Germano, Claudio Amendola. Con Favino, lei ha già recitato in Senza nessuna pietà, ma come mi racconterà più tardi, su questo set non si sono nemmeno incontrati.
Preparo un caffè (i vol-au-vent li ho subito eliminati dal programma quando ho saputo che aveva appena pranzato) ci sediamo in sala. E cominciamo l’intervista. Il contesto familiare crea automaticamente un’atmosfera rilassata. Lei si dimentica di guardare l’orologio, io la scaletta di domande. E due ore scorrono veloci.

Il degrado, la corruzione e la criminalità della capitale: questo il filo conduttore di Suburra. Lei che è nata e vive a Roma, pensa che la sua città sia realmente pericolosa?
«Ho assistito allo spaccio di droga e a risse degenerate in accoltellamenti. Ma non mi sono stupita perché molte zone sono violente da sempre, non certo dallo scandalo di Mafia Capitale. I romani lo sanno. Non ci sono città dove mi sento più sicura che in altre, la sera quando esco sto attenta e in guardia. Ovunque mi trovi».

Ci parli di Viola, il suo personaggio in Suburra.
«È una tossicodipendente di eroina, un’anima persa. Del suo passato non si sa nulla. Prova un amore cieco per un capo criminale, Numero 8 (alias Alessandro Borghi, ndr) che in qualche modo la porta a superare se stessa e il suo istinto di morte. Tra i ruoli che ho interpretato finora, questo è il più intenso, il più depresso. Mi ha scosso emotivamente, nel profondo. C’erano giorni in cui stavo malissimo. È stata un’esperienza travolgente, impossibile non uscirne cambiati. Poi c’è stato un altro aspetto: il rischio fisico sul set».

In che senso?
«In una scena viene appiccato un incendio e un’enorme struttura di legno prende fuoco e cade a un paio di metri da me. Ho sentito un calore tremendo, i leggings mi si sono attaccati alle gambe. È intervenuto l’infermiere che mi ha curato con dosi massicce di pomata anti ustioni. Sul set non mi risparmio, non mi rendo neanche conto che posso farmi male. Dalle riprese di Suburra sono uscita piena di lividi e graffi. Però mi sono tanto divertita».

Si riconosce di più nei ruoli da maschiaccio?
«Mi innamoro dei personaggi e della loro storia. Potrei anche interpretare una donna fatale, un giorno. Però è vero che ultimamente sono incline a ruoli drammatici e tormentati. Come nella serie In Treatment 2 (la serie con Sergio Castellito trasmessa da Sky Atlantic, ndr). È stato veramente pazzesco».

Anche qui ha “sofferto”?
«Naturalmente. Sono una ragazza che si ammala di cancro e va dallo psicanalista perché lui l’aiuti. Nel corso delle sette puntate, lei inizia il primo ciclo di chemio, dimagrisce, deperisce. E io mi sono sottoposta a una dieta tremenda, ho perso tanti chili, ho lottato con la fame».

Il pubblico però l’ha conosciuta attraverso personaggi meno drammatici: Sabrina, nella soap opera Rai Un posto al sole, e Francesca, nella serie televisiva di Canale 5 Squadra antimafia.
«In Un posto al sole ho recitato poco più di 12 mesi, quando avevo 22 anni, poi non ho rinnovato il contratto anche se non avevo un piano B. Squadra antimafia è stata un’esperienza più lunga, ma dopo tre anni ho deciso di interrompere».

Come mai? Per caso ha un’insofferenza per le serie televisive?
«Andarsene da un cast affiatato e da una serie che funziona è una scelta difficile. Ma mi fido del mio istinto e per ora non mi pento. La mia vita è così: a 16 anni ho interrotto il liceo classico di Roma per trascorrere un anno in Alabama».

Perché proprio l’Alabama?
«L’idea di frequentare il quarto anno di liceo negli Stati Uniti piaceva sia a me sia ai miei genitori. Poteva capitarmi New York e invece sono finita nei campi di cotone. A Jasper, nella contea di Walker, un angolo del nulla. Non sapevo esistessero Paesi tanto retrogradi in America, dove i neri e gli omosessuali vengono ancora discriminati. Tra i miei compagni di scuola c’erano ragazzi i cui nonni hanno fatto parte del Ku Klux Klan. Assurdo. Mi sembrava di vivere ai tempi di Via col vento».

Anche Jasper è pericolosa come Roma?
«No Jasper, no. Per niente. Lì sei al sicuro. Anche perché se commetti un crimine rischi la pena di morte. Comunque tutta questa tranquillità notturna per me era inutile, se avessi voluto uscire non avrei saputo dove andare. A Jasper non c’è niente da fare di sera, se non guardare la televisione o leggere».

Qual è il suo bilancio di un anno vissuto lontano dall’Italia?
«Parlo e recito in inglese, anzi in americano, come se fosse la mia lingua madre».

Lei è legata all’attore e regista Michele Alhaique che l’ha diretta in Senza nessuna pietà. Vi siete conosciuti sul set?
«Sì, ma di un altro film, Qualche nuvola, opera prima di Saverio Di Biagio. Recitavamo il ruolo di marito e moglie e ci siamo innamorati».

Parlate di lavoro oppure a fine giornata chiudete tutto fuori dalla porta di casa?
«Neanche per sogno, noi condividiamo tutto. Di Michele io mi fido ciecamente, gli chiedo consigli di continuo. Sinceramente non capisco le coppie che svolgono la stessa professione, soprattutto se in ambito creativo, che non ne parlano l’uno con l’altra. No, è impensabile. Il nostro lavoro è una passione: il vero lavoro per me è quando non lavoro. Quindi, per noi parlare di film, di copioni, di registi, di riprese è la cosa più bella del mondo. Entrambi adoriamo il cinema. E io vivo per recitare».

Non ha mai pensato di fare altro?
«Non me lo ricordo, non credo. Quando ho compiuto 5 anni, mio padre mi ha iscritto a un corso che prevedeva una recita di fine anno, di cui noi bambini inventavamo la sceneggiatura, sceglievamo le musiche, dipingevamo i fondali. Il mio papà mi ha sempre spinta verso l’espressione creativa. Ho anche studiato canto e ho imparato a suonare la batteria».

Suo padre è un artista?
«È neurochirurgo. Mia madre è infermiera. Ma non ho mai pensato di seguire le loro orme: io non posso vedere un ago senza sentirmi male. Può immaginare come stavo quando sul set di Suburra giravamo le scene in cui m’iniettavo l’eroina».

Forse suo padre avrebbe voluto diventare un attore e ha proiettato i suoi sogni su di lei.
«Da ragazzo ha sempre combattuto contro la timidezza. E ha voluto che imparassi a esprimere me stessa, ha cercato di risparmiarmi una sofferenza».

Il cinema è la sua grande passione, d’accordo. Ma ci sarà un aspetto del suo lavoro che le piace di meno.
«Il red carpet. L’ho fatto l’anno scorso alla Mostra del cinema di Venezia per la presentazione di Senza nessuna pietà. L’aspetto glamour del mio mestiere mi mette ansia. Non sono un orso, ma tutto ciò che è festaiolo, se legato alla mia professione, mi piace soltanto quando rappresenta un riconoscimento del mio impegno. Se è fine a se stesso, non mi interessa. Tanto sono a mio agio sul set, tanto sono un pesce fuor d’acqua sul tappeto rosso. Fatemi recitare e io sono la persona più felice del mondo».

C’è un’attrice che ama in particolare, che per lei in qualche modo è un modello di riferimento?
«Kate Winslet. È una donna che mi affascina da morire, con un carisma infinito. Una stella di prima grandezza. Ma ce ne sono tante altre: Marion Cotillard e Meryl Streep, per dirne alcune».

Qual è stato il primo divo che ha conosciuto?
«Pierfrancesco Favino. Anche se non lo chiamerei divo, a lui non piacerebbe. Lui è famoso, è un grande. Ma la parola divo fa troppo Hollywood».  

Dopo Senza nessuna pietà, vi siete ritrovati sul set di Suburra.
«In realtà non ci siamo nemmeno incrociati. Io e Pierfrancesco non abbiamo neanche una scena insieme nel film»

Il suo compagno ha già visto Suburra?
«Non ancora. Non sta più nella pelle , è curiosissimo, gli ho fatto una tale testa. Ammira moltissimo Stefano Sollima. E spero anche me».

Sono le quattro del pomeriggio. Il tempo è volato. Accompagno Greta alla porta. La saluto e la vedo scomparire in ascensore. Pochi minuti dopo sento sulle scale i passi di mia figlia. «Via libera?», chiede. E si scatena sui vol-au-vent.

© Riproduzione riservata

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