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Gianrico Carofiglio: Ora so come vorreste essere amate

Gianrico Carofiglio: Ora so come vorreste essere amate

foto di Stefania Rossotti Stefania Rossotti — 4 Novembre 2016

Un uomo tradito da sua moglie che resta solo, ma continua ad aspettarla. È il protagonista dell’ultimo romanzo di Gianrico Carofiglio. E qui lo scrittore confessa a Grazia di avere capito che non c’è niente di più maschile di soffrire per una donna

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Se Gianrico Carofiglio fosse stato puntuale, questa intervista sarebbe probabilmente cominciata parlando del suo ultimo libro: L’estate fredda (Einaudi). Ma, fra un imprevisto e un’incomprensione, l’appuntamento con il magistrato-scrittore è slittato due volte. E io, nell’attesa, ho letto: giornali, siti, notizie, opinioni. Ho vagato fra le parole finché, non so come, sono arrivata a un saggio sulla capacità di fallire e sulla forza di saperlo fare. Con una frase sorprendente: «Si può perdere per delicatezza».

Ovvio che chiederò a Carofiglio se gli è mai capitato di scegliere una sconfitta, di volerla proprio. Lui che sembra uno che nella vita ha fatto saltare il banco e si è preso tutto. Cinquantacinque anni, ex magistrato, ha lasciato la toga per una carriera di scrittore che lo ha portato a vendere oltre cinque milioni di copie, con traduzioni in 28 paesi diversi. Ha passato anni in bilico fra varie identità: scrittore, magistrato in aspettativa, senatore del Partito democratico. Un modo di essere frammentato che si addiceva alla sua aria sempre un po’ distante dalle cose, vagamente a disagio. La stessa che ha adesso mentre dice: «Mi scuso per il ritardo. Sono meticoloso con gli appuntamenti, di solito non sgarro mai».

Pazienza, probabilmente l’intervista doveva avere un tempo e una piega diversa. Dopotutto un incipit alternativo ci vuole: questa è la nostra quarta intervista.

«Vuol dirmi che sta sviluppando una certa aggressività nei miei confronti?».

No, soltanto un’inevitabile curiosità: voglio capire quanto e se è cambiato. Per esempio: ora che ha un mestiere solo, è ancora capace di sentirsi fuori posto quando si definisce scrittore? Cerca sempre di stare “in equilibrio e a distanza”?

«Sì, coltivo con determinazione un certo senso dell’umorismo. Mi viene abbastanza naturale trovarmi ridicolo, patetico, condiscendente. E questa consapevolezza aiuta a tenermi a una sana distanza dal ruolo».

Ridicolo, patetico, condiscendente: quando?

«Anche adesso: mentre le rispondo con questo tono così grave. Mi considero un buffone».

Questo è un vezzo.

«Spero di no. È una cosa vera. E utile, mi sembra. Sentirmi fuori posto mi aiuta a tenere a bada le trappole dell’Io. E a guardare gli altri, capacità indispensabile per uno scrittore che vuole trovare nuove storie, nuovi personaggi».

Nel suo ultimo libro, il protagonista è il maresciallo Pietro Fenoglio, sideralmente diverso dall’avvocato Guerrieri dei suoi primi romanzi, un tipo sentimentalmente molto inquieto. Fenoglio invece desidera e attende un solo amore: la moglie che lo ha lasciato dopo averlo tradito.

«Lui la ama pazzamente, e così tanto da lasciarla andare. Tanto da farsi da parte, da vivere dentro un’attesa molto virile».

Virile.

«Il modo migliore per interpretare il maschile. Fatto di forza, rispetto, capacità di soffrire in modo composto. E di perdono».

Ecco, appunto. Mentre l’aspettavo ho letto una cosa sul “saper perdere per delicatezza”. Lei ne è capace, Carofiglio?

«Provo a farlo. Senza vendette, senza volgarità».

È difficile vederla nel ruolo del perdente.

«Eppure mi succede di fallire, continuamente. Lo faccio in fretta e bene».

Che cosa vuol dire?

«Che non esiste vittoria senza molte, moltissime sconfitte che la precedono. Se ti va bene una cosa al primo colpo non hai vinto, hai solo avuto fortuna».

Torniamo a Fenoglio e al suo modo di amare, così diverso da quello di Guerrieri, che pure aveva un gran successo con le donne.

«Le amiche che hanno letto questo libro mi hanno detto: “È così che vorremmo essere amate”».

È così che lei sa amare?

«Senta, uno scrive per vedere che effetto fa mettersi in un altro punto di vista, dentro a panni diversi. Detto questo, gran parte di quello che c’è, romanzato, in questo libro è reale. E gran parte di quel che è reale è mio».

In questa sua nuova vita le basta la sua identità unica di scrittore?

«No. E infatti coltivo altro. Ho progetti teatrali e cinematografici. E sto pensando a un nuovo impegno in politica».

Con che ruolo?

«Non lo so ancora concretamente. Per ora posso dire che la politica mi interessa, anche se sono molto a disagio per la volgarità del dibattito-rissa che l’attraversa».

Parla delle polemiche legate al referendum sulla riforma costituzionale? Lei che cosa voterà?

«Voterò “sì”. Ma riconosco molte e importati ragioni anche al “no”. Le motivazioni a favore della riforma sono pochissime in più, ma, a mio parere, esistono».

Torniamo alla scrittura, le va? Lei come costruisce le donne dei suoi romanzi?

«Non le costruisco. Le penso e loro vanno avanti».

Che tipo di donne le piacciono?

«Quelle con qualche tratto maschile. Donne capaci di mescolare la loro femminilità con dettagli virili. Donne toste».

Il successo ha cambiato il suo rapporto con le donne vere?

«Sono reduce da un passato in cui ho avuto un gran bisogno di conferme e, dunque, un’urgente necessità di capire che piacevo. Adesso non ho più questa fragilità. Da questo punto di vista la notorietà mi ha aiutato».

Le è andata bene: la fama avrebbe potuto ingigantire la sua voglia di conferme.

«Sì, mi è andata bene. O forse sono stato aiutato da quel mio sguardo esterno: la tendenza a vedermi da fuori e trovarmi ridicolo».

Ha cinquantacinque anni, l’età in cui a una donna si chiede: “Che rapporto ha con il suo corpo che cambia?”. Lo domando anche a lei.

«55 anni, io?».

Mi duole dirglielo.

«Scherzavo. Ne sono consapevole, anche per via di alcuni scricchiolii, esito di un passato in cui ho frequentato molto le arti marziali. Il lamento delle mie ossa mi ha spinto a cercare e trovare nuovi movimenti e posizioni».

Risultato?

«Sono in grado ancora di affrontare in combattimento qualche avversario più giovane e più in forma di me. Ieri mi sono preso un calcio in faccia e l’ho incassato bene».

Come dicevamo, è bravo a perdere. È anche ostinato, mi pare.

«Quando facevo il magistrato, archiviavo molte cause che non mi convincevano. Ma se ne portavo avanti una, non la mollavo, mai».

A costo di perderla.

«Sì, dopo una sconfitta tutto ricomincia, sempre».

Lo sostiene anche Fenoglio.

«Forse per questo piace alle donne».

© Riproduzione riservata

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