Gianluca Vacchi: «La mia vita al massimo»

Imprenditore, influencer, deejay. Gianluca Vacchi, 54 anni, è tutte queste cose insieme. Ma è anche figlio, compagno della modella Sharon Fonseca, 27 anni, e padre di Blu Jerusalema, nata nell’ottobre del 2020.
E proprio su questi aspetti più intimi punta l’attenzione il documentario Gianluca Vacchi: Mucho Más, su Prime Video dal 25 maggio. «Nel quale», dice lui, «mi mostro un po’ di più rispetto a quello che normalmente faccio vedere sui social». Intende probabilmente quel mondo fatto di ville a Miami e in Sardegna, di schiere di camerieri, di balletti a bordo piscina, di macchine sportive dalle quali entra ed esce con una capriola e così via. «Sui social», spiega, «devi soprattutto intrattenere, essere veloce e leggero. Sennò ti seguono in 20». E, invece, lui di follower ne ha oltre 22 milioni su Instagram, pochi meno su TikTok.

Com’era Gianluca da piccolo?
«Ero timido. Facevo fatica anche solo ad andare a una festa con gli altri, mi imbarazzavo perché mi sembrava di avere gli occhi di tutti addosso».
Un’immagine di lei alle elementari?
«Indossavo il grembiule e il fiocco. E non riuscivo a stare seduto fermo al banco. Mi mettevo in ginocchio, mi giravo, mi alzavo... La scuola è stata una costrizione fisica più che mentale. Ero iperattivo, avevo voglia di correre, di sognare».

È nato e cresciuto a Bologna.
«Fino agli 8 anni ho vissuto in una casa di campagna dove, ancora oggi, trascorro parecchi mesi l’anno. Poi, sono stato in montagna, a Cortina d’Ampezzo, perché fino ai 18 anni ho praticato sci agonistico».
Nel documentario parla della sua amata nonna.
«La madre della mia mamma. Era argentina e insegnava pianoforte. È grazie a lei se ho imparato a suonare. Appena finita la nostra lezione, la obbligavo a giocare a calcio con me. Vivevo aspettando di vederla. Sul mio corpo ho un tatuaggio per ogni persona cara. Nel suo caso si tratta di una breve lettera che mi ha lasciato prima di morire. Se n’è andata una ventina di anni fa».

Altri parenti?
«Ricordo soprattutto il padre di mio padre. Era un imprenditore, sempre molto indaffarato, severo. Lo vedevo una, massimo due volte l’anno. A Natale mi regalava sempre un disegno realizzato da lui – era un bravissimo artista - una sterlina d’oro e 100 mila lire. Ogni anno lo stesso. Da piccolo mi incuteva soggezione, ogni volta che parlavamo, mi sentivo come se dovessi superare un esame. Però, negli anni ho capito di somigliargli molto. Come lui, anch’io ho una vena artistica e un senso per gli affari parimenti sviluppati».
Oggi, tra le altre cose, fa anche il deejay e sui social ama ballare. Da ragazzo frequentava le discoteche?
«No. Ero uno sportivo, per cui seguivo una disciplina rigida, da soldato. E non era il mio genere di divertimento, semmai un male necessario che subivo nel caso avessi avuto un interesse legato a una ragazza. Ma quando capitava, mentre gli altri ballavano io tendevo a starmene in un angolo. E non bevevo. La prima vodka l’ho provata a 46 anni perché mi hanno obbligato».
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