Hollywood parla di lui come il prossimo Brad Pitt. Ha una fidanzata famosa e voglia di stupire. Al cinema Garrett Hedlund è il Capitan Uncino più sensuale di sempre. Ma guai a dirglielo: perché se c’è una cosa che detesta è essere condannato a fare il bello
Si accorge che sono arrivata nella suite dell’appuntamento, nel cuore di Londra, con quell’attimo di ritardo che mi permette di osservarlo mentre gira per la stanza con le mani in tasca. Appena Garrett Hedlund mi vede, sfodera un sorriso, ma la sensazione è che sia imbarazzato. Ha ancora i modi del ragazzo cresciuto in una fattoria del Minnesota. Non contano i provini fatti volando a Los Angeles ai tempi del liceo, l’essere stato il cugino di Brad Pitt in Troy e aver girato una decina di film, da lì in avanti, che lo hanno consacrato il biondo della prossima decade, dopo Robert Redford e Pitt stesso. Garrett Hedlund, un ragazzo gentile di 31 anni, con un attaccamento fortissimo alle proprie radici, è ancora di una timidezza disarmante. Ma quando apre bocca, le cose cambiano: la sua voce profonda e potente mette in ombra l’immagine timida. Se penso che fa coppia da tre anni con la collega Kirsten Dunst, conosciuta sul set di On the Road, e che non ricordo di aver mai incontrato persone made in Hollywood più riservate di loro due, intuisco che la conversazione non sarà facile. Ma ho la fortuna di averlo appena visto in Pan-Viaggio sull’isola che non c’è, il prequel di Peter Pan firmato da Joe Wright (nelle sale dal 12 novembre), un film che trasporta nel mondo e nella fantasia dei bambini dell’isola che non c’è. La nostra chiacchierata parte da qui.
In Pan lei è James Hook, ovvero Capitan Uncino con il braccio ancora intatto. Che cosa le è piaciuto di questo ruolo?
«Dopo così tante parti serie e argomenti cupi, avevo bisogno di tornare alla leggerezza. Mi sono divertito moltissimo».
Le ha ricordato la sua infanzia?
«C’erano così tanti bambini sul set che solo a guardarli era un’iniezione di buonumore. Sì, mi ha portato indietro nel tempo. Mi sono ricordato soprattutto di quando giocavo a indiani e cowboys nei boschi».
Nel film lei dice a Peter Pan: «Mentire è crescere». Condivide?
«È una frase a effetto, ma nella vita reale non vale sempre, dipende da chi sei. I bambini sono naturalmente onesti, ma direi che no, non condivido questa affermazione. Anzi: la verità costa fatica».
In Pan ha lavorato con lo straordinario Levi Miller, un 11enne molto dotato. Si è sentito più un amico o un padre?
«Levi è stato per me come un fratello più piccolo. Quando ha fatto il provino per avere la parte di Pan, lo scorso febbraio, abbiamo letto insieme un passaggio molto emozionante del copione: aveva le lacrime che gli rigavano le guance. Tutti intorno a noi hanno iniziato a piangere, abbiamo capito che avrebbero scelto lui. Con quegli occhi blu e i capelli biondi mi ha ricordato molto me stesso».
In che cosa si è rivisto?
«All’inizio della carriera mi è capitato spesso di essere il più piccolo su un set. Guardavo molto i più grandi cercando di imparare. Levi mi ha dato finalmente l’opportunità di restituire l’esperienza che ho accumulato in questi anni. Non capita spesso».
Nel suo prossimo film sarà diretto dal regista premio Oscar Ang Lee.
«È una parte meravigliosa. La girerò con Joe Alwyn, che sarà il protagonista, Kristen Stewart, Vin Diesel e Steve Martin. È la storia raccontata da Ben Fountain in È il tuo giorno, Billy Lynn! (il libro è pubblicato da minimum fax, ndr). Non ho mai letto niente di così capace di catturare la mia attenzione, lo trovo rivoluzionario quanto lo è stato Sulla strada di Jack Kerouac».
Quale sarà il suo ruolo?
«Sarò il sergente Dime, leader del plotone Bravo, che compie una missione in Iraq. Io e i miei uomini sopravviviamo a una feroce battaglia e, quando torniamo negli Stati Uniti, veniamo trattati come eroi. Ci fanno fare un tour, ma ripartiremo presto per la guerra con un grande senso di amarezza verso l’ipocrisia del nostro Paese».
Lei sembra timido. È difficile fare un mestiere che non offre tregua a livello pubblico?
«Se diventassi famoso al punto da essere inseguito dai paparazzi, mi scaverei un buco nella terra e mi nasconderei lì».
Concedere interviste, invece, le viene facile?
«Sono sempre stato quello che ascolta, quello che osserva, non quello che parla. Forse perché non mi reputo per niente abile nell’esprimermi. Però, paradossalmente, sono uno che sa abbandonare territori sicuri e conosciuti per buttarsi nella bufera e vedere se alla fine ne esce vivo. Mi intervisti? E io mi butto. Ti rispondo».
Sta dicendo anche che fa cose pericolose?
«Molto più di quello che il mio manager e il mio agente approvino. Ti ripetono tutto il tempo: “Stai attento, hai una carriera”, ma intanto tu sei ancora quel ragazzino in cerca di avventure che si ritrova alle due di notte a dormire in macchina, perché è troppo stanco per tornare a casa».
Sicuramente significa che lei, in macchina, si sente al sicuro. Una delle sue battute, in Pan, è: «La tua casa è dove la fai tu». Lei dove si sente come in un nido?
«In questo momento direi che di case ne ho avute tante. Da bambino mi sono spostato da una fattoria all’altra, poi mi sono trasferito in Arizona. Vivo a Los Angeles da 13 anni, e posso dirle che questa battuta la sottoscrivo: la mia casa è dove la costruisco io».
Un cuore, una capanna. La vede abitata da tanti bambini?
«Certo che lo voglio, ma non adesso. Desidero molto avere vicino un piccolo amico o una piccola principessa. Sono cresciuto in una fattoria con le mucche e nessun bambino attorno. È stato lì che ho cominciato a sognare di diventare attore».
E come si è sentito quando l’hanno presa per Troy, il suo primo film, come cugino di Brad Pitt?
«È stata la cosa più incredibile che mi sia mai successa. A distanza di anni, lavorare con Hugh Jackman, Rooney Mara e uno dei migliori registi sulla piazza, Joe Wright, ha ancora dell’incredibile per me».
Bisogna ammettere che per lei il salto da una fattoria del Minnesota ai registi più importanti del mondo è stato rapido.
«Quando vivevo con mio padre, a 30 miglia dalla città più vicina, ho subito messo a fuoco che nella vita mi sarebbe toccato lavorare sodo. A 18 anni ho scelto di inseguire un sogno e mi sono trasferito a Los Angeles, da solo. Non avevo un manager o un agente. Ma sentivo che un giorno li avrei avuti».
Lei appartiene a una nuova generazione di attori di Hollywood. Ha paura di diventare uno dei tanti?
«Penso solo a ottenere ruoli interessanti. Il resto, il chiacchiericcio, non mi interessa. Mentre nella vita di tutti i giorni amo ridere, circondarmi di buoni amici, non cerco cose strane».
Però sul lavoro dicono che sia uno tenace.
«Faccio un mestiere duro, in cui si sta sul set tutto il giorno, e la concentrazione è altissima, quindi ho imparato a esserlo».
La cosa peggiore che si è sentito dire?
«“Sei troppo bello per certi ruoli”. Una frase che mi ha motivato ad andare più in profondità».
Lei non si sbilancia mai sulla vita sentimentale, mentre la sua fidanzata Kirsten Dunst lascia intuire tra le righe che entrambi siete fatti per la famiglia.
«Famiglia, figli e una moglie amorevole sono sempre stati un obiettivo più importante, nella mia educazione, del correre dietro a storie “mordi e fuggi”. Sono argomenti delicati, sappiamo che si può essere molto felici e molto tristi in entrambe le situazioni, ma è vero, sono sempre stato più un uomo da famiglia che il tipo a caccia di avventure».
È il maschio che corteggia?
«Sì. Donna, mai fare il primo passo: lascialo fare a me».
Per concludere, quali parti di se stesso sente più adulte, e quali ancora adolescenti?
«Vengo da una famiglia con un forte senso dell’umorismo e il mio lavoro ha molto a che fare con il restare un bambino dentro. Direi che il senso dell’umorismo è una parte ancora infantile, mentre le mie ambizioni sono piuttosto cresciute. Dimenticavo, anche la mia voce è molto adulta. O no?».
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