Fino a dove arriveranno i selfie? Me lo sono domandata a Parigi, durante le giornate dell’Alta Moda. Nella spettacolare sala dove si sarebbe tenuta di lì a poco la sfilata di Dior, le invitate nel tempio della couture si sono autocelebrate con un tripudio di autoscatti col cellulare.

Fino a dove arriveranno i selfie? Me lo sono domandata a Parigi, durante le giornate dell’Alta Moda. Nella spettacolare sala dove si sarebbe tenuta di lì a poco la sfilata di Dior, le invitate nel tempio della couture si sono autocelebrate con un tripudio di autoscatti col cellulare. Hanno così deciso il ribaltamento dei ruoli anche nell’Alta Moda. Il loro messaggio infatti era: sono io, con il mio vestito Dior, la protagonista, altro che celebrities o top model.
Mi sono interrogata ancora sulle nuove frontiere dei selfie guardando il tour de France arrivare a Londra in un bagno di folla. Dando le spalle al gruppo degli atleti, un discreto numero di spettatori ha rischiato di essere travolto facendosi autoscatti al centro delle strade mentre 200 ciclisti arrivavano di corsa. Inevitabilmente Andy Schleck, vincitore del Tour nel 2010, ne ha investito uno. Per fortuna nessuno si è ferito. Ma mentre il Giro attraversava lo Yorkshire, il lituano Ramunas Navardauskas non ce l’ha fatta più. Ha afferrato alcuni telefonini e li ha gettati a terra. Negli Stati Uniti è stato invece inaugurato il selfie gol.
Dopo aver segnato contro i Chicago Fire, l’attaccante dello Sporting Kansas City, Dom Dwyer, è corso verso i tifosi per posare con loro in autoscatto. Peccato però che così tanto sforzo abbia durata effimera e non sia destinato all’album dei ricordi. Il selfie non è destinato a noi stessi, ma agli altri, per essere guardati ed essere protagonisti in quel preciso momento. Fino al selfie successivo.
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