Chi ricorda noi, ricorda il Festival
La prima fu Chiara Caselli, nel 2000, e a sceglierla era stato Alberto Barbera quando, in occasione della sua prima direzione della Mostra del cinema di Venezia (incarico ripreso dalla fine del 2011), aveva deciso di istituire il ruolo della madrina. Un compito magari simbolico, ma solo all’apparenza facile. Anche se, in effetti, si tratta di un impegno limitato.
Introdurre la serata di apertura e la cerimonia di chiusura del festival, arrivare sul tappeto rosso e rispettare il rituale della foto al Lido, a piedi nudi nella sabbia, in realtà vuol dire avere gli occhi di mezzo mondo puntati addosso: tutti a commentare le scelte del look e ad aspettare la gaffe di cui poter finalmente parlare. E, a volte, l’esame comincia ancora prima.
Ne sa qualcosa Ambra Angiolini, madrina dell’edizione del 2007, che, nonostante quello stesso anno avesse debuttato al cinema come protagonista del film di Ferzan Özpetek Saturno contro, venne poco elegantemente definita da un noto critico cinematografico un «nulla col vento in poppa». Commento sul quale Angiolini intelligentemente decise di glissare.
Negli anni il compito è stato assolto da diverse grandi interpreti del cinema italiano. Come Claudia Gerini, madrina nel 2004: un anno d’oro per lei con tre film usciti al cinema nell’arco di pochi mesi tra cui La passione di Cristo di Mel Gibson. Seguita, due anni dopo, da Isabella Ferrari e, nel 2009, da Maria Grazia Cucinotta, quindi da Kasia Smutniak, nel 2012 (nella foto sopra), e da Luisa Ranieri, nel 2014.
Ma il ruolo è toccato in un paio di occasioni anche a modelle attrici. Prima a Eva Riccobono, nel 2013 (nella foto sopra), e poi a Elisa Sednaoui, nel 2015 (nella foto sotto). Ognuna, comunque, ha interpretato il proprio in modo diverso, con discorsi più o meno preparati e gradi di difficoltà diversi da fronteggiare.
Lo scorso anno, poco prima che l’Italia entrasse nel secondo lockdown, Anna Foglietta si trovò nella situazione non facile di aprire quella che fu definita l’edizione di Venezia Anno Zero, con le sale cinematografiche chiuse da mesi e un tappeto rosso transennato e senza pubblico. Scelse un discorso che suonava come un monologo teatrale. Una celebrazione dell’importanza di fare, «invece di perdersi in chiacchiere», e un omaggio alla tenacia, alla resilienza dell’Italia. Per poi chiudere la sera della premiazione parlando di sollievo: «Ce l’abbiamo fatta», disse. «Qui si è fatta la storia. Dobbiamo brindare al coraggio».
Un’altra edizione molto difficile era toccata, nel 2016, a Sonia Bergamasco (nella foto di apertura), che si ritrovò sul palco di Venezia a una settimana dal terremoto che aveva devastato il Centro d’Italia, causando centinaia di morti. Stracciò il discorso che si era preparata sul cinema e andò meravigliosamente a braccio.
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Testo di ENRICA BROCARDO con Alessia Ercolini.
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