Fedez

Non sa chiedere scusa, non gli piacciono troppe carezze, ma non ha paura di dire che per una donna ha pianto. Grazia ha incontrato il rapper, autore per San Valentino delle frasi che accompagnano una speciale edizione del cioccolatino più famoso. E, solo dopo una raffica di domande, abbiamo capito dove lo sta portando il cuore

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Parlare d’amore con un uomo è difficile. Lo è ancora di più se lui ha 38 di febbre e magari mal di pancia. Federico Leonardo Lucia, in arte Fedez, 26 anni, il rapper italiano più famoso, il giorno in cui avevamo appuntamento si è ammalato. Ammettiamolo: discutere di sentimenti con una giornalista non era la sua massima aspirazione, nemmeno se fosse stato in ottima forma. Ma ce l’abbiamo fatta, anche se questa intervista è stata il risultato di un faticoso, a tratti divertente, inseguimento. Primo giorno: Tatiana, mamma-agente-factotum, fissa l’intervista telefonica alle 12 di mercoledì. Alle 13.15 inizio a preoccuparmi: non mi ha chiamato ancora nessuno. Posticipiamo per il pomeriggio, ma Fedez non riesce a trovare il tempo per parlarmi: troppi impegni in agenda e uno spettacolo da preparare per la sera. Secondo giorno: la mattina si sveglia “steso”. Il virus che ha decimato la nostra redazione, ha colpito anche lui. Dopo la notte in bianco, riusciamo a chiacchierare per 20 minuti. Poi ci interrompiamo e per qualche ora ci rincorriamo via WhatsApp. Il rapper mi scrive, manda messaggi vocali. Terzo giorno: si sente un po’ meglio e risponde. Insomma, un’intervista in diverse tranches, fatta con la speranza che gli analgesici facessero effetto.
L’occasione, d’altra parte, era golosa: per San Valentino esce una speciale edizione limitata dei celebri Baci Perugina firmata da Fedez. Il giudice di X Factor regala infatti a tutti gli innamorati 40 frasi, alcune tratte dalle sue canzoni più belle, altre inedite, pensate proprio per questo progetto in cui il rapper parla non solo dell’amore romantico, ma anche di quello più tormentato. Un esempio? “Spesso parliamo del tempo terso, per non pensare al tempo perso”. Perché quando la relazione è “stanca”, la coppia invece di affrontare il problema, lo rimuove, guardando ad altro. E nel progetto Perugina c’è una sorpresa in più: i bigliettini dei famosi cioccolatini cambiano veste “indossando” i tatuaggi del rapper.  

Che effetto le fa scartare un cioccolatino e leggere il cartiglio con le sue frasi?
«Ne sono orgoglioso. La Perugina ha perfino modificato le confezioni solo per me. I Baci sono cioccolatini icona, che fanno parte della vita di tutti».

Ma lei prima di questo progetto li leggeva i bigliettini?
«Sì, anche a me è capitato di fermarmi sulle parole degli scrittori famosi».

San Valentino è una data simbolica per festeggiare l’amore. Ne abbiamo bisogno?
«Non c’è niente di male a celebrare le ricorrenze. Credo che ognuno faccia come si sente. Io lo festeggio con la mia ragazza (la modella Giulia Valentina, 25 anni, ndr) e penso che possa rafforzare la vita di coppia».  

Qual è il regalo che farà alla sua fidanzata?
«Non ci ho ancora pensato. Adesso sono concentrato solo sul paracetamolo».

Il dono più sorprendente che le ha mai fatto?
«Tutte cose che non hanno un valore materiale, pensieri più intimi. Non si possono, però, raccontare in un’intervista».
 
E se dovesse per forza scegliere un oggetto?
«Un anello importante. O i cioccolatini».

La prima volta che ha detto “Ti amo”.
«Non me lo ricordo. Forse a 16 anni alla mia ragazza di allora: comunque l’ho detto perché lo provavo».

È uno che lo dice spesso o con il contagocce?
«Raramente, perché ho avuto poche fidanzate. E poi perché ci sono tanti altri modi per esprimere un sentimento, non solo attraverso le parole».

In amore è uno che sa chiedere scusa?  
«Sì e no».

Le è mai capitato di piangere per amore?
«Certamente. Anche di non dormire».

Il gesto più romantico che ha mai fatto.
«Non posso certo portare la mia fidanzata a Venezia in mezzo a una piazza, perché ci fermerebbero in troppi. E non sono neanche il tipo che organizza una cena a casa disseminando candele dappertutto. Escludo anche i fiori, perché a Giulia non piacciono. Insomma, non so se sono un uomo romantico in senso classico. Forse io e la mia fidanzata lo siamo in un modo tutto nostro».

“Questa notte dormo sul mio fianco preferito, il tuo” recita la sua canzone Magnifico. Ed è anche una delle frasi nei biglietti dei Baci Perugina. Le piace il contatto fisico?
«No. Le faccio un esempio: mi dà fastidio che qualcuno mi tocchi il viso. Con Giulia sono affettuoso, ma il giusto: insomma non passiamo certo mezza giornata a baciarci. Magari quando torna a casa l’abbraccio, ma poi non stiamo otto ore incollati l’uno all’altra».

Scrive ogni tanto lettere d’amore?
«Mai scritta una».

Ma le canzoni non sono, in un certo senso, delle dichiarazioni?
«Le mie sono confessioni che faccio a me stesso, non agli altri. E uso la scrittura solo per questo».

“Una vita assieme a te mi ha dimostrato che sono fortunato, e sono grato per l’amore che mi hai dato”, dice una frase dei Baci firmata da lei. Secondo lei, l’amore capita a tutti?
«Forse alcuni non riescono a vederlo».

La sua canzone L’amore eternit recita: “Sei il mio punto debole”, ma anche “Sei un senso di rivoluzione”. Quale si applica di più alla sua vita di coppia e alla sua compagna?
«Non si escludono a vicenda, assolutamente. “Sei il mio punto debole” significa che, in una relazione, un partner si apre di più all’altro e rivela anche le proprie debolezze. Diventa quindi maggiormente vulnerabile nei confronti di chi gli sta accanto. “Un senso di rivoluzione” dà invece l’idea della potenza dell’amore. Ma io non sono un bravo “traduttore” delle mie canzoni».

Ci sono uomini e donne che non riescono ad amare. Lei è sempre stato capace?
«Mai avuto problemi né a provarlo né a esprimerlo».

“L’amore è un punto d’arrivo, una conquista”, dice in una sua canzone ripresa poi dalla Perugina. Non è invece spesso un punto d’inizio?
«Sì, è vero. È un arrivo, ma anche un inizio. Perché ogni giorno in amore si ricomincia».

Le fa paura l’idea di sposarsi?
«Non credo nel matrimonio. Non mi interessa “burocratizzare” un sentimento».

Come immagina l’amore per un figlio?
«Si dice che sia difficile spiegarlo finché non capita».

Convive con la sua fidanzata. Qual è la sua personale strategia per andare d’accordo?
«Io e Giulia non litighiamo spesso. Ma non c’è una formula magica, un programma scritto per far funzionare una coppia».

“L’amore è una lotta”, diceva lo scrittore Milan Kundera. È d’accordo?
«Non è la mia visione, ma non sono abbastanza autorevole per dare una definizione alternativa. Forse l’immagine che si avvicina di più alla mia concezione di amore è che è un privilegio».

Qual è il segnale per cui si capisce che una relazione è finita?
«Quando la persona che amavi non ti manca più, in nessuna situazione».

La migliore strategia per uscire da una relazione che è naufragata?
«Parlarne insieme».

Fedez è uno che lascia o che viene lasciato?
«Mi sono capitate entrambe le cose, come a tutti».

Sesso senza amore: il luogo comune dice che i maschi ci credono, le donne meno. È d’accordo?
«No, oggi forse lo fanno più le donne».

E come mai?
«Magari hanno imparato da noi».

Amore vuol dire anche famiglia. Che cos’è per lei sua mamma Tatiana, che le fa anche da agente e tiene sotto controllo tutto il “mondo” Fedez?
«Un punto di riferimento».

Qual è, tra le sue 40 frasi contenute nei Baci, quella che ama di più e a cui è più legato?  
«Fuori è magnifico sì, ma tu un po’ di più».

Fidanzata, famiglia e musica: se dovesse fare un elenco con ciò che ama di più, che cosa aggiungerebbe?
«Vivere».

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«Se la strage in spiaggia o il saccheggio alla Stampa sono definiti "resistenza"»: l'editoriale di Silvia Grilli

Silvia Grilli
Il nuovo numero di Grazia è ora in edicola. Ecco l'editoriale della Direttrice Silvia Grilli

La resistenza è necessaria con ogni mezzo», «con Hamas fino alla vittoria», «ora e sempre resistenza». Sono slogan che sentiamo nelle piazze di tutto il mondo alle manifestazioni contro Israele.

Per chi li inneggia possono essere innocua teoria, opinioni a favore della Palestina o semplicemente parole urlate per non sentirsi esclusi dal gruppo, non una chiamata alle armi per massacrare i presunti oppressori. Ma c'è sempre chi prende la teoria alla lettera. Domenica 14 dicembre, quegli slogan sono stati scritti con il sangue degli ebrei.

Un padre e un figlio pachistani hanno sparato sulla folla che celebrava il primo giorno della festa religiosa ebraica dell’Hanukkah su una spiaggia famosa per le nuotate al tramonto. Quindici morti e decine di feriti sono rimasti sulla sabbia a Bondi Beach, uno dei posti più belli, pacifici e gioiosi dell’Australia. Il primo ministro Anthony Albanese ha dichiarato che non riesce a spiegarsi tutto questo male. Io credo sia molto spiegabile: per gli invasati che considerano Israele il male assoluto, massacrare gli ebrei è fare giustizia.

È la colpa dei giudei che spinge giovani ProPal a saccheggiare la redazione del quotidiano La Stampa (paradossalmente uno dei più favorevoli alla causa palestinese). Induce quel centinaio di manifestanti a scrivere e urlare slogan terroristi come “Stampa-Morta” o «giornalista sei il primo della lista», mentre una loro guru, Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite, riduce l'assalto a un «monito ai giornalisti».

Nella tradizione ebraica, Hanukkah è la festa della luce, della speranza. Colpire bambini, anziani e adulti che festeggiano la vita non è diverso da quando il 7 ottobre i terroristi di Hamas fecero strage al Nova Festival. Sparare sulla spiaggia in un momento storico in cui c'è qualche passo verso la pace è voler cancellare la speranza nel futuro.

Eppure, ho ancora fiducia che l’umanità possa superare l’odio. Domenica 14 dicembre, in Australia, questa speranza aveva i gesti di un uomo: Ahmed Al Ahmed, fruttivendolo immigrato siriano, che si è precipitato su uno dei terroristi e gli ha strappato il fucile. Aveva le gambe di Jackson Doolan, il bagnino veterano della spiaggia, ex star di Baywatch in Australia, che è corso a piedi nudi per un chilometro e mezzo portando il borsone dei medicinali. Aveva le braccia di tutti coloro che si sono adoperati per salvare le vittime, sollevandole sulle tavole di soccorso che di solito vengono usate per trasportare la gente a riva.

Gli orrori si ripetono, sembrano non volersi fermare. Ma se le persone corrono ad aiutare, se ci sono solidarietà e compassione, c’è ancora speranza nell’umanità.

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Grazia è in edicola con Maya Hawke

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Ecco cosa vi aspetta nel nuovo numero di Grazia, da oggi in edicola e su app

Maya Hawke è la protagonista di copertina Grazia in edicola e app. Si è fatta conoscere con la serie Stranger Things, arrivata all’ultima stagione. Ora l’attrice newyorkese figlia delle star Uma Thurman ed Ethan Hawke, girerà il nuovo capitolo di Hunger Games dove vuole portare l’energia di chi non ha paura di crescere.

Questa settimana intervistiamo alcune icone di Hollywood. Incontriamo Zoe Saldana, al cinema nel ruolo di Neytiri, la madre combattente di Avatar. Parliamo con Ariana Grande, in corsa ai Golden Globe con Wicked e le attrici premio Oscar Jodie Foster e Laura Dern.

Il 2025 ha cambiato noi e la Storia. Grazia lo ripercorre. Dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca alla guerra a Gaza. Dalle vittorie di Jannik Sinner all’elezione del primo Papa americano fino alla scomparsa di icone come Ornella Vanoni e Giorgio Armani.

Grazia ha scelto i personaggi da tenere d'occhio nel 2026: le sciatrici Sofia Goggia e Lindsey Vonn attese alle Olimpiadi invernali, María Corina Machado, premio Nobel per la Pace che potrebbe cambiare le sorti del Venezuela, Lady Gaga in arrivo in concerto in Europa e molti altri. Da Can Yaman a Jacob Elordi, da Timothée Chalamet a Jeremy Allen White, che cos’hanno in comune i nuovi sex symbol? Mettono d’accordo mamme e figlie. Grazia ve li racconta.

Abiti dorati, trasparenze, ricami e dettagli preziosi. Grazia ha scelto i capi che ti rendono protagonista delle notti di festa e delle serate più speciali. Ma anche lo stile più cool per il 2026.

E nelle pagine dedicate alla bellezza trovate tutti i segreti per brillare: dalle strategie effetto freddo per una pelle più tonica alla scelta del fondotinta e del correttore giusti per illuminarla.

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Jodie Foster: "Faccio film per capire chi sono"

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Jodie Foster festeggia al cinema 60 anni da star. Nel thriller Vita privata, da oggi nelle sale, è una psicanalista tormentata. Ma a noi racconta come, grazie alla sua carriera, ha capito che le donne over 50 hanno tutte le carte per vincere

Come trascorre il giorno del suo compleanno una diva planetaria come Jodie Foster, sotto i riflettori dall’età di tre anni? «Lavorando», mi risponde accomodata sulla poltrona, mentre sorseggia un cappuccino. Neanche a farlo apposta la incontro proprio il giorno in cui compie 63 anni e mi confida che finita l’intervista andrà con gli amici a festeggiare. Sessant’anni di carriera tondi, fresca del Golden Globe vinto a gennaio per la sua performance nella serie True Detective: Night Country, la regista e attrice torna al cinema con il nuovo film di Rebecca Zlotowski Vita Privata. Presentato in anteprima al Festival di Cannes e dall’11 dicembre al cinema, la vede calarsi nei panni della nevrotica psichiatra Lilian Steiner, ossessionata da un caso molto delicato.

Che rapporto ha con il passare del tempo?

«Buono. Mi sento più felice che mai in vita mia».

Davvero?

«Parlo di una gioia profonda, non di quello che mi accade giorno per giorno. Le cose della vita, belle e brutte, capitano. Ma vivo un momento in cui il lavoro sta andando sempre meglio e ho superato l’ansia delle domande: “Sarò in grado di farcela con le mie forze?”, “Avrò una famiglia?”. Tutte questioni archiviate, per fortuna non devo più preoccuparmene. Da giovane passavo tanto tempo a pensare a me stessa, dopo una certa età mi sono concentrata sulle storie degli altri, è più facile e divertente».

Anche in Vita privata ascolta le storie degli altri.

«La mia Lilian non è una psichiatra risolta, anzi, è parecchio nevrotica. Non riesce a comprendere come sia possibile che la sua paziente in cura da nove anni (Virginie Efira, ndr) si sia potuta uccidere. Non ci crede, non ammette la possibilità che lei, in quanto psichiatra, sia stata così sorda».

Ritiene che come società abbiamo perso il potere di ascoltare?

«Mostrare curiosità verso gli altri è tutto. Noi attori siamo allenati all’ascolto, per lavoro siamo chiamati a calarci nelle vite degli altri ed è una bella abitudine mettersi nei panni altrui, un esercizio che possiamo fare tutti. Ci aiuterebbe come società».

Dal titolo del film alla realtà, essendo conosciuta in tutto il mondo sin da piccola come ha fatto a proteggere la sua, di vita privata?

«Sforzandomi sempre molto. Lavorando sin da bambina sapevo di dovermi proteggere: volevo andare a Disneyland, ma senza le telecamere che mi seguissero. Volevo essere libera di andare al supermercato, o prenotare un volo senza che nessuno lo facesse al posto mio. Ci ho sempre tenuto a mantenere viva la mia indipendenza, tracciando una linea netta tra la mia vita pubblica e quella privata. Oggi sono contenta di aver seguito quell’impulso».

Nel film la sentiamo sfoggiare un francese fluente…

«Mi fa sentire più sicura di me, rispetto all’inglese. Sarà che devo la passione per il francese a mia madre, che me lo fece studiare». 

Come mai?

«Non aveva mai viaggiato fuori dagli Stati Uniti fino ai cinquant’anni, ma la cultura europea l’affascinava. Comprava di continuo riviste e libri su Parigi e Napoleone, addirittura dipinse le pareti di casa con i colori delle antiche pietre romane. Quando ero bambina fece il viaggio dei suoi sogni e andò in Francia, con un tour in bus di quelli turistici».

Che cosa le disse al ritorno?

«"Jodie, impara il francese e diventa una grande attrice francese". Era il suo modo di dirmi che sognava per me una vita più ampia di quella americana. Anche perché erano gli anni 70, al potere c’era Nixon, non era facile essere americani. A mia madre piaceva l’idea che potessi scegliere di essere libera di inventarmi una vita tutta mia».

Ha fatto lo stesso con i suoi figli?

«Dovrebbe chiederlo a loro (Charlie e Kit, 27 e 24 anni, ndr). Intanto uno di loro sa parlare benissimo il tedesco, le mie radici tedesche ne sono contente».

Che rapporto ha con la psichiatria?

«Sempre stata scettica, ma una volta mi sono fatta ipnotizzare».

Com’è andata?

«Mi ripetevo: "Ma perché pagare 90 dollari a un tipo quando potrei smettere di fumare gratis oggi stesso?", eppure ha funzionato. Non amo la psicanalisi, per quanto la trovi attraente da un punto di vista cinematografico: non mi piace Freud, in America nessuno lo stima più, era un grandissimo sessista. Trovo però importante che al cinema si parli di salute mentale».

E che si mostri come le donne over 50 abbiano desideri, diritto al piacere e una vita sessuale appagante, come la sua Lilian con l’ex marito interpretato da Daniel Auteuil: perché tutto questo al cinema si vede ancora poco?

«Dovremmo parlare per ore della rappresentazione del corpo femminile. Purtroppo i pregiudizi sulle donne dopo una certa età sopravvivono, non solo al cinema. Ma sono speranzosa: registe come Zlotowski dimostrano di voler raccontare le donne per quello che sono, con tutti i loro desideri. La mia Liliane non è solo una psichiatra, una madre e una nonna, ma una donna che si esprime anche attraverso il  corpo».

Con Auteuil avete avuto un intimacy coordinator?

«È una figura che ho scoperto sul set di True Detective. Ho detto: "Che lavoro pazzesco, dov’eri tu quando avevo 16 anni?". Ormai io e Auteil abbiamo superato i 60 e abbiamo risolto senza, ma sono contenta che questa figura esista, era importante che ci fosse».

Che cosa di lei non hanno mai capito finora?

«Non sono seria come credono. Non ho mai capito perché il pubblico mi affibbi quest’aura di serietà, io sono una persona leggera. Certo, se mi fanno domande serie rispondo in modo serio e amo fare lavori significativi, ma se sapeste com’è la mia giornata ideale cambiereste idea».


Com’è la sua giornata ideale?

«Sveglia presto, sci ai piedi, la sera una partita di calcio in tv e una cena gustosa. Altro che tormentata, sono una persona felice e ottimista verso il futuro».

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Come trasformare l'eredità in un'opportunità per i propri figli

Elena Valzania x Alleanza
L'eredità di famiglia può assicurare un sostegno economico ai propri cari. Basta sottoscrivere una polizza di investimento adeguata, affidandosi a un bravo consulente

Elena Valzania ha 57 anni e vive a Ravenna, in una casa che ha ereditato dalla sua famiglia. Cresciuta in un contesto economicamente stabile, è stata segnata più di quanto pensasse da ciò che ha ricevuto in eredità: non solo beni, ma un intero modo di vivere e pensare il denaro. «I nostri familiari conducevano vite semplici, risparmiavano e investivano».

A un certo punto, la malattia entra nella sua storia familiare e si intreccia alle questioni economiche. Il padre di Elena si ammala gravemente, per poi morire quando lei ha 20 anni. Insieme con i beni materiali, Elena riceve anche un’eredità invisibile: l’idea che il lavoro debba essere per forza fatica. Un peso silenzioso che la accompagna a lungo, anche dopo la laurea in Farmacia, quando si avvicina all’omeopatia e inizia a lavorare. «Rispetto allo studio, lavorare mi sembrava facilissimo, ma proprio per questo mi pareva che non valesse abbastanza». E infatti, quando viene assunta in una cooperativa di Bologna, non negozia lo stipendio.

La sua carriera aziendale si interrompe durante la sua prima maternità: l’azienda viene acquisita e, al rientro dal congedo, capisce che stanno cercando di spingerla alle dimissioni.

Da allora, Elena non è più rientrata nel mondo del lavoro “ufficiale”. I soldi necessari ad andare avanti, però, in un modo o nell’altro, entrano. Ed Elena procede nella sua vita, con una leggerezza sconosciuta ai suoi familiari. Che le è concessa, però, anche grazie all’eredità materiale ricevuta da loro: «Mio marito e io abbiamo sempre avuto la mentalità di investire sulla nostra famiglia. Tuttora siamo concentrati sul mantenere i nostri tre figli agli studi e i beni di famiglia sono un mezzo per sostenere questa nuova generazione».

Parola all'esperta: le polizze come strumento di tutela

RISPONDE ELENA BELLUCCI DELL’AGENZIA ALLEANZA DI EMPOLI (FI)

1) Come si gestisce un’eredità ricevuta?
«Ricevere un’eredità può risultare persino destabilizzante, specie se si tratta di grandi somme, e senza una gestione attenta il rischio è di sperperare il patrimonio o di non trarne vantaggio. È insomma necessaria un’attenta pianificazione che parta dai bisogni dell’individuo o della famiglia, ragione per cui può essere molto utile affidarsi a un buon consulente assicurativo e finanziario. Tra le soluzioni possibili ci sono le polizze di investimento, che combinano l’opportunità di investimento con la componente assicurativa, che offre una protezione sul capitale o sul rischio di vita. Ne esistono di diversi tipi: con quelle a capitale garantito, per esempio, si ha la certezza che il capitale che sarà restituito all’uscita dall’investimento non sarà inferiore a quello versato».

2) Che vantaggi hanno, rispetto alle altre soluzioni? 
«Le polizze da investimento sono nate per chi desidera assicurare un sostegno economico ai propri cari, anche in caso di decesso, con l’aggiunta di un rendimento. Offrono però anche altri vantaggi: uno dei più importanti sta nel fatto che il capitale così collocato non rientra nell’asse ereditario e non viene considerato nel calcolo dell’eredità ai fini della tassa di successione. In caso di morte del contraente le somme passano al beneficiario, nel rispetto delle quote di eredità legittime disponibili, e questo rende la polizza un ottimo strumento per tutelare le coppie non sposate o i minori».

Testo di Annalisa Monfreda
*co-fondatrice di Rame, rameplatform.com