Fabio Volo, "Ragazzi, la vita non sta tutta nei social"
Sebastian, 7 anni, e Gabriel 6, i figli di Fabio Volo, avuti dalla compagna Jóhanna Hauksdóttir, sono ancora troppo piccoli per avere un profilo social e siccome lui, spiega, ha l’atteggiamento di uno che «si occupa, ma non si preoccupa delle cose», con il personaggio del suo nuovo film si è immedesimato fino a un certo punto.
In Genitori vs influencer, che arriva il 4 aprile su Sky Cinema e sulla piattaforma Now, Volo è un professore (vedovo) di filosofia. Vive in funzione della sua bambina, Simone, ma arrivata l’età della pubertà lei viene “rapita” dallo smartphone e dai social media e ai libri – regolarmente di carta – che il padre le regala comincia a preferire il profilo dell’influencer Ele-O-Nora (interpretata dall’imprenditrice digitale Giulia De Lellis).
Tutto, però, cambia di nuovo il giorno in cui un video dove si comporta da padre brontolone, postato a sua insaputa dalla figlia, fa di lui il vero influencer di casa, la voce di tutti i genitori esasperati come lui.
Lei, in fondo, è entrambe le cose: genitore e influencer.
«Nella realtà non me la cavo benissimo con i social. Cerco di stare al passo ma il mio personaggio, Paolo, diventa molto più bravo di me. In comune, abbiamo il fatto di essere vecchio stampo. Anch’io condividevo gli stessi pregiudizi verso quel mondo».
Perché pensa di non cavarsela bene?
«Fare lo speaker in radio, parlare in pubblico, scrivere un libro sono cose che mi vengono naturali. Con i social faccio fatica. Preferisco tenere per me la mia famiglia, quello che mangio. I veri influencer, invece, si svegliano la mattina e il loro primo pensiero è condividere la loro vita: “Ragazzi, andiamo a lavarci i denti”. Io creo prodotti - che possono essere un libro, un film - non sono io il prodotto. Da un lato questo mi rende più libero, perché posso staccare il cellulare ogni volta che mi va. Dall’altro, a parità di popolarità, altri hanno molti più follower di me».
Su Instagram ne ha 970 mila. Ci terrebbe a fare cifra tonda e arrivare a un milione?
«Mi hanno spiegato come farlo velocemente. Dovrei fare più Storie, dedicarmici, ma io sono uno che quando chiama la sua mamma al cellulare ci sta due minuti. Il telefono non è il mio mezzo preferito».
Il suo personaggio, a un certo punto, dice alla figlia: «Siamo noi a dare agli altri il potere di farci del male». È anche la sua ricetta per risolvere il problema del cyberbullismo e degli hater, gli odiatori del web?
«È una frase che ho letto quando ero più giovane e che mi ha aiutato molto perché, per il lavoro che faccio, sono esposto, potenzialmente fragile».
Riceve tanti insulti?
«Sempre meno. Era più Twitter a scatenare commenti antipatici. Adesso, al massimo, mi dicono cose tipo: “Sei ingrassato”. Dal modo in cui cercano di ferirmi capisco che non mi conoscono. Se scrivi che sono un panettiere (è stato il suo primo lavoro, insieme con il padre, ndr) che è diventato scrittore, non mi arrabbio. Anzi, lo considero un vanto. L’importante non è il giudizio ma la persona da cui arriva. Il mio papà non aveva neppure bisogno di aprire bocca, bastava una piega del labbro in segno di disapprovazione a farmi star male per settimane».
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Foto di apertura: Julian Hargreaves
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