Ester Expósito: «Quando riavremo la libertà»
Il 26 gennaio Ester Expósito ha compiuto 21 anni. Ha festeggiato a Madrid, dove è nata e vive. È stata una festa piccola piccola, niente uscite al ristorante né in discoteca, un compleanno da pandemia, solo i genitori e qualche parente passato da casa a portarle un regalo.
Su Instagram, ha postato una sua foto da bambina e ricevuto gli auguri da parte dei suoi follower. Sono tantissimi, 26 milioni e mezzo, la popolazione di una città come Seoul, Corea del Sud, una delle più numerose al mondo.
La fama è arrivata grazie alle serie Élite (su Netflix): sono disponibili tre stagioni, si stanno girando la quarta e la quinta. In queste nuove Ester non ci sarà più, un po’ perché il suo personaggio è uscito di scena e un po’ perché la sua interprete vuole giustamente cogliere l’attimo: fare altre serie, altri film. Per chi non l’avesse vista, Élite si svolge in una scuola per ragazzi privilegiati e affronta molti temi, dallo scontro tra classi al razzismo, dal bullismo all’identità sessuale.
Costruito come una via di mezzo tra Gossip Girl e Le regole del delitto perfetto, ha in Carla, detta “marchesina”, il ruolo interpretato da Ester, il personaggio più riuscito: bella, snob, manipolatrice, il genere di cattiva che si ama odiare.
Figlia unica di papà architetto e madre agente assicurativa, Ester ammette di avere qualcosa in comune con la terribile marchesa: «Sono cerebrale come lei, pianifico molto e parlo poco», mi dice subito durante l’intervista, tanto per mettermi subito a mio agio.
Si sa che non ama parlare del fidanzato Alejandro Speitzer, attore anche lui, conosciuto sul set della miniserie (sempre di Netflix) Qualcuno deve morire e che non la entusiasma sapere di essere diventata un’icona durante il lockdown grazie a un balletto sexy a tempo di reggaeton che ha pubblicato sul suo Instagram in aprile: 81 milioni di visualizzazioni.
Però i progetti che ha in mente adesso sono di altra natura. Ester farà parte della docu-serie Pea-ce Peace Now Now girata in Sud America e in Spagna e dedicata a storie di donne coraggiose: sopravvissute a episodi di violenza in Colombia, mogli di desaparecidos in Cile, vittime di abusi durante la guerra civile in Guatemala. Nel cast ci sono Yalitza Aparicio, Daniela Vega, la cantante dei Garbage Shirley Manson e, appunto, lei. Interpreterà la giornalista messicana Lydia Cacho, esiliata in Spagna perché perseguitata dalle minacce della malavita dopo aver portato alla luce con i suoi articoli una rete di pedofili organizzata dai narcotrafficanti del suo Paese.
Ester, da bambina come immaginava sarebbero stati i suoi 20 anni?
«Non proprio così, ma sapevo già che avrei fatto l’attrice. Non so da dove sia partita la scintilla, ma appena ho iniziato a parlare ho detto ai miei che avrei voluto fare questo. Guardavo e riguardavo fino a saperlo a memoria il mio film preferito, I Pirati dei Caraibi, e dicevo a mia madre: “Voglio andare lì dentro”».
E i suoi genitori?
«Mi hanno fatta aspettare. Si sono rifiutati di portarmi subito, come avrei voluto io, a fare provini. Ma mi hanno consentito di recitare in tutti gli spettacoli scolastici, mi hanno accompagnata a teatro e al cinema e a prendere lezioni di recitazione. Non volevano che io facessi la vita anomala degli attori bambini, ma non hanno fatto nulla per distruggere il mio sogno, anzi. Avevano ragione, infatti è stata un’infanzia felice. Poi, verso i 14 anni, hanno acconsentito a portarmi da un agente per fare sul serio».
Uno dei temi di Élite è il bullismo. Lei ne è mai stata vittima?
«No, di bullismo no. Però ho condiviso molti dei sentimenti dell’adolescenza di cui parla la serie. Quel sentirsi spaesati, tagliati fuori, poco accettati, incompresi e sottovalutati è tipico dell’età e può produrre molta ansia».
Ansia ne prova ancora?
«Per motivi diversi, ma sì. Sono ansiosa di carattere e questo periodo della pandemia l’ho vissuto e lo sto vivendo abbastanza male, come tanti miei coetanei. Non ne posso più, spero che finisca presto. Provo un senso d’impotenza e una profonda tristezza per chi è stato particolarmente colpito, come i proprietari di negozi, bar e ristoranti che faticano a sopravvivere o sono stati addirittura costretti a chiudere. Ho una cugina che è nel settore e mi rendo conto che, oltre ai malati e ai morti, bisogna pensare al futuro che è nerissimo, pieno di incertezze che mi stanno sulla testa come una cappa pesante. E ho una grande domanda: quando torneremo alla vita di prima? Ci torneremo?».
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Foto di Andrés García Luján
styling di Víctor Blanco
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