Rapper, showgirl, presentatrice, stilista. Dare una definizione di Elettra Lamborghini, 27 anni, non è una banalità. «Ogni giorno mi sveglio e devo avere tante cose da fare, è la mia condanna», dice quando ci sentiamo al telefono.
È appena uscito il suo ultimo disco, A mezzanotte, e nello stesso tempo ha creato una capsule collection di borse per Carpisa. Non solo. Mentre parliamo sta salendo in macchina dopo aver cavalcato per un’ora il suo cavallo, Dadi, in un maneggio a Milano.
«E ora sono anche diventata mamma di Lea», ironizza parlando della piccola levriera adottata da poco. La vivacità fa parte di Elettra fin dalla nascita, tanto da aver preso il largo dalla sua famiglia - i fondatori del marchio di auto di lusso - appena ventenne, nel 2015, quando è stata scoperta da Piero Chiambretti che l’ha voluta nel suo programma Chiambretti Night.
Da allora ne ha fatta di strada: due anni dopo ha partecipato al Grande Fratello Vip spagnolo e al reality Geordie Shore in Inghilterra. Sfacciataggine e ironia sono stati i suoi punti di forza per diventare famosa, ma la sua vera passione era la musica e non ha mollato l’obiettivo finché non l’ha raggiunto. Il suo primo singolo di successo è stato Pem Pem nel 2018 e da lì ha aperto il varco, fino alla partecipazione al Festival di Sanremo nel 2020 con Musica (E Il Resto Scompare). A seguire è stata opinionista dell’Isola dei Famosi.
Ora è appena uscita con una canzone natalizia, A mezzanotte (Christmas Song). Come mai?
«È un pezzo natalizio alla Michael Bublé. Mariah Carey dovrebbe iniziare a tremare (ride, ndr). Amo le tradizioni, è una canzone che dà gioia. E poi l’ha scritta Davide Petrella, autore che stimo tantissimo».
L’avete ideata mentre lei era in trasferta a Miami.
«È vero, al telefono. Quando creo una canzone vado in studio e lavoro insieme con l’autore, perché se non mi piace il beat potrei mettermi a piangere. Con lui invece è bastata una lunga telefonata: se non è sintonia questa».
È stata a lungo in pausa, prima di rimettersi a suonare.
«Sono diventata scema, poverina. Non poter programmare mi faceva sentire inutile. Così siamo andati a Miami, negli Stati Uniti (con Nick van de Wall, in arte AfroJack, il marito, ndr). Lì ho riacquistato fiducia e serenità mentale».
Da suo marito, musicista, che cos’ha imparato?
«Tante cose, purtroppo».
Perché purtroppo?
«Con lui ho visto i palchi più grandi e le produzioni migliori e i miei parametri si sono tarati sui suoi. Anche io, che sono una perfezionista, voglio quello che ha lui. E non è facile ovviamente».
E lei che cosa ha insegnato a lui?
«Un bel po’ di cose. Sono fiera del mio bambino (34 anni, ndr), è un ragazzo d’oro, intelligentissimo. Io lo sprono tanto e mi rende orgogliosa vedere quanto di buono porti nella sua e nella mia vita ogni giorno».
Il vostro incontro è stato casuale?
«È stata fortuna in tutti i sensi. Ci siamo trovati all’Home Festival di Treviso, era il 2018. Andavo in giro con le chiappe di fuori, ero libera e indipendente. E molto felice in quel periodo. Io e AfroJack c’eravamo visti tante volte, ma lì a Treviso è stata l’unica volta che ci siamo incontrati e conosciuti davvero. E ci siamo innamorati».
E sposati, l'anno scorso. Sembra un passo a cui teneva molto.
«È stato desiderato e voluto. Quando l’ho conosciuto avevo 24 anni, ero una bimba. Sposandolo ho fatto i conti con ciò a cui rinunciavo, ma so che se non mi fossi sposata con lui avrei avuto il rimorso tutta la vita e sono contenta di aver preso questa decisione. È una responsabilità, ci vuole rispetto per l’altro. Il matrimonio non si evolve se non ci metti impegno per farlo funzionare».
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Testo di Annalisa Venezia
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