«I calci sulla faccia di un figlio»: l’editoriale di Silvia Grilli sul nuovo numero di Grazia

Qualche giorno fa se n’è andata Rita Calore, la mamma di Stefano Cucchi, il trentunenne arrestato per droga nel 2009 a Roma e morto in ospedale dopo essere stato pestato dai carabinieri.
La madre e la sorella di Stefano, Ilaria, hanno lottato come leonesse per avere giustizia, dopo un depistaggio della verità durato 10 anni. La scomparsa della signora, malata di tumore, è stata accompagnata da vicinanza e affetto, ma anche da biasimo.
Quella stessa disapprovazione di chi allora sostenne che il giovane non fosse morto per le botte dei militari ma perché - “anoressico, drogato e sieropositivo” - era stato abbandonato dai genitori.
“Rita Calore si è arresa per andare a riabbracciare il figlio mai perduto. Lo scrivo con tanta emozione e mi stringo a Giovanni (il marito, ndr) e a Ilaria. Non mi viene altro da dire a questa grande famiglia”, ha scritto sui social il loro avvocato Fabio Anselmo. Molti sono stati i commenti alla notizia. Alcune persone hanno reagito, oggi come allora, così: “Quale grande famiglia? E allora quelle per bene?”. “Non capisco dove sia grande. Lui non è stato educato ed è diventato uno spacciatore, tossico come tanti”.
Come tutti noi, non ho alcun titolo per dare il voto in condotta alla madre di Stefano. Come voi, so che ogni genitore è fallibile e la dipendenza da stupefacenti deriva da fattori genetici e ambientali su cui la famiglia ha spesso ben poca giurisdizione.
Quando un ragazzo cresce passa più tempo fuori casa che con i suoi. Provo profonda comprensione per una madre e un padre che affrontano il calvario di un figlio tolto dalla propria casa, tra comunità di recupero e carcere. Immagino che la tossicodipendenza del tuo ragazzo sia come vederlo sulle rotaie, osservare il treno che arriva più veloce che mai con lui incapace di udire il fischio della locomotiva. L’istinto è di spingerlo via cadendo tu, mamma, sotto quel treno: «Prendi me, Dio, prendi me».
La maggior parte dei genitori di un tossicodipendente si attribuisce le colpe. Stefano era stato quattro anni in comunità. Sua madre e suo padre fecero terapia di gruppo con lui, quando morì fu come se fossero morti anche loro. Rita Calore sentì sul suo corpo gli stessi abusi e tormenti del figlio: la nuca battere sul pavimento, la faccia esplodere colpita dai calci, la schiena spezzarsi. Lo aveva raccontato lei stessa.
Capita che i ragazzi si perdano nonostante l’impegno dei genitori. Capita anche che i figli non si perdano nonostante l’assenza delle madri e dei padri. Noi possiamo solo cercare di fare del nostro meglio con i nostri bambini. Però oggi sappiamo che, dopo le botte mortali a Stefano Cucchi e la lotta per la verità della sua mamma, meno ingiustizie verranno compiute.
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