«Dagli alla stupida»: l'editoriale di Silvia Grilli
Con una donna a capo del Governo e un’altra del secondo partito, smetteranno di silenziarci quando prendiamo posizione? Ogni volta che esce un mio editoriale, c’è sempre qualcuno che s’intromette con frasi tipo: «Livello rasoterra», «torna a trattare di moda» oppure «occupati di reggiseni».
A parte il fatto che considero la moda e anche i reggiseni fondamentali sia nella creazione di posti di lavoro che di libero pensiero, che cosa spinge queste signore e signori a pensare che l’opinione di una donna valga meno di quella di un uomo o che dobbiamo scrivere solo di certi argomenti e non di altri?
E quale odio viscerale porta sui social a insultare una femmina che esprime un’opinione con offese che mai indirizzerebbero a un maschio?
Parlo della violenza verbale con cui spesso vengo attaccata online, con parole misogine usate per screditare il mio pensiero. Una persona che mi manifestava solidarietà mi ha scritto: «Silvia, continua a esprimere i tuoi punti di vista».
Grazie davvero, e tranquilli: non mi autocensurerò. Qui parlo di me, certo, ma sono soltanto una fra tante e certamente non la più colpita. La mia è un’esperienza condivisa, con diversi gradi d’intensità e disprezzo, da tutte le donne che esprimono un’opinione in pubblico, in politica, sui giornali e sui social. La giornalista americana Elizabeth Spiers, ex direttrice del New York Observer, ha raccontato le denigrazioni, gli insulti, le minacce di stupro, le osservazioni sulla sua famiglia e su lei stessa per le sue idee su qualsiasi argomento: dall’aborto a chi sarà il prossimo James Bond.
Accade tutto il tempo. Gli attacchi tossici mirano a umiliare e fare sentire inadeguate: la stessa strategia usata dai partner abusanti. L’obiettivo è far desistere le donne dal partecipare al dibattito pubblico, esattamente come i mariti violenti cercano di tagliare fuori le mogli da ogni contatto con l’esterno. Sui social, poi, le frasi delle attiviste vengono spesso manipolate e utilizzate per aizzare la Rete contro di loro.
Se guardo i commenti sotto i profili digitali della deputata Maria Elena Boschi leggo: “Tacchi a spillo, bel viso e poco cervello”. Sotto la premier Giorgia Meloni: “Rimettiti a cuccia”. Su Elly Schlein trovo l’hashtag #Pippofranco usato per rimarcare una sua presunta somiglianza con il comico. È così che cercano di respingere a un posto subalterno la neosegretaria del Pd: con un meme sul suo aspetto fisico.
La mappa dell’intolleranza (un progetto ideato da Vox - osservatorio italiano sui Diritti - insieme con varie università) rileva che le donne sono al primo posto (43,21 per cento) tra le destinatarie di messaggi d’odio. Seguono gli individui con disabilità (33,95) e, a distanza, le persone omosessuali (8,78), i migranti (7,33), gli ebrei (6,58) e gli islamici 0,15.
Si tende a dire che chiunque faccia male alle donne sia malato, una specie di mostro. Ma non è così. Non è un solo uomo che uccide. I maschi che le ammazzano non lo fanno improvvisamente, ma sono alimentati da una vasta cultura dell’odio. Il linguaggio nutre la violenza e l’intero sistema ne è complice. L’abuso fa sì che molte di noi si ritirino dalla partecipazione attiva e dall’esprimere le proprie idee, rinchiudendosi in un conformismo che le metta al riparo da odio e misoginia. La neozelandese Jacinda Ardern è stata una prima ministra coraggiosa e capace, ma neppure lei è stata risparmiata dalle critiche sessiste. Ricordate? La chiamavano «zia Cindy» o «comunista graziosa». Fa niente, persistiamo. Statene certi: qui non ci autocensureremo.
© Riproduzione riservata