
Alice Schembri si è buttata per vergogna dalla rupe Atenea, il punto più alto di Agrigento. Aveva 17 anni, era stata stuprata da quattro ragazzi che avevano poi condiviso le immagini della violenza sulle chat.
C’è voluta un’indagine di cinque anni per dare risposta a un suicidio senza apparente motivo. Nel video si vede Alice che urla: «Non voglio, non posso, vi prego, mi sento male, mi ucciderò». I nomi degli stupratori non sono mai stati comunicati ai media. Quello della vittima sì, simbolo perenne della sconfitta del corpo femminile.
Aveva lasciato scritto: “Non sono una persona che molla, ma questa volta non posso lottare, perché non potrò averla vinta mai, come non posso continuare a vivere così, anzi a fingere così”. Non aveva mai confidato alla famiglia che cosa le fosse accaduto. Sui social aveva postato: “Nessuno di voi sa e saprà mai con che cosa ho dovuto convivere. Quello che mi è successo non poteva essere detto e questo segreto dentro di me mi sta divorando”.
Alice si è autodistrutta, invece di accusare i suoi stupratori. Loro sono riusciti nell’intento di ridurla a nulla: non è rimasto più niente di sé dentro di lei.
Lo stupro di gruppo non è soddisfazione di un desiderio sessuale smodato, è l’invasione e lo smembramento del corpo femminile privato della sua umanità. È il possesso di pezzi di seno, vagina, sedere, braccia, un corpo da svalutare, insultare, sottomettere al predominio maschile, in questo caso con l’aggravante di perpetrare la violenza ancora e ancora con la condivisione dei filmati.
Alice non ha chiesto aiuto. Da sola ha continuato la svalutazione di sé, fino a non sopportare più il suo corpo e a rifiutarlo definitivamente buttandosi giù dalla rupe.
Lei era la vittima perfetta, che ha urlato «non voglio, non posso, vi prego, mi ucciderò». Ma questo editoriale è anche per Tiziana Cantone: la vittima imperfetta che invece voleva, ma poi i suoi rapporti sessuali sono diventati virali contro la sua volontà. Per vergogna Tiziana ha rinunciato al lavoro, si è isolata, ha cambiato il cognome, ma non ha ottenuto l’oblìo e infine si è impiccata il 13 settembre 2016.
Il nostro corpo non dovrebbe mai essere considerato la nostra vergogna. Scrivo per tutte le donne che implorano che le proprie immagini sessualmente esplicite e illecitamente diffuse siano rimosse dal web. Lo stupro e il revenge porn sono reati feroci che si portano dietro il pregiudizio che la vittima sia in qualche modo responsabile. Ma responsabili sono coloro che vogliono togliere alle donne il controllo sul proprio corpo e forzarle a diventare oggetti di consumo di gruppo.
Capisco il silenzio di Alice. Ogni volta che avesse parlato, il suo fisico sarebbe stato revisionato, sezionato, disseminato. Avrebbe rivissuto il trauma continuamente. Immagino la sua solitudine e il suo senso d’impotenza. E mi metto nella pelle di Tiziana e nella sua resa dopo aver portato avanti una lunga battaglia legale, senza che sia mai stato individuato il responsabile della diffusione dei video, mentre oggi il giudice riapre il fascicolo per verificare se il suo sia stato davvero suicidio.
Quelle di noi che ora rompono il silenzio vengono chiamate «eroine». Ma non è vero che non abbiamo voluto parlare in tutti questi anni. È solo che sapevamo che nessuno era capace di ascoltarci.
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