«C'è ancora domani»: l'editoriale di Silvia Grilli
A ogni elezione, mia madre mi chiamava il mattino presto: «Sei andata a votare?», chiedeva. Per lei era un grande giorno, come lo era per mia nonna. Entrambe si preparavano con cura e indossavano il vestito più bello per recarsi alle urne. Non ho mai veramente indagato il perché di questa loro euforia, lo attribuivo al nostro poderoso senso civico. Finché ho visto il film di Paola Cortellesi C’è ancora domani.
Allora ho ripercorso le loro vite. A mia nonna, che era stata sottomessa prima all’autorità del padre, poi del marito, il 2 giugno 1946 cambiò la percezione di sé. Per lei, come per Delia, la protagonista del film, il diritto di voto alle donne significava esistere: era la prima volta che qualcuno le chiedeva che cosa pensasse. Poteva esprimere pubblicamente il proprio parere.
Quando avevo 10 anni, i miei nonni e mio zio vennero ad abitare con noi. Mia nonna era dolcissima, aveva un sorriso che scaldava il cuore, cucinava molto e parlava poco. Subiva, come Delia nel film. Erano anni così. Non le ho mai chiesto se pensasse fosse normale. Era dimessa, si occupava degli altri. Mi fa male ricordare quella volta che rovesciai qualcosa sul pavimento e le ordinai: «Pulisci!». Ero arrabbiata per la sua sottomissione e volevo ferirla.
Una volta in chiesa non la salutai, mi vergognavo della sua modestia, avevo la ferocia dei bambini, la stessa della figlia di Delia in C’è ancora domani. Non me lo sono mai perdonato. Quando penso a mia nonna, ricordo sempre la volta che finsi di non conoscerla. Non avevo un’idea della violenza che mia nonna subiva senza fiatare. Finché un giorno capii. Accadde quando mio padre affrontò mio nonno: «Se alzi ancora le mani sulla Bice, chiamo i carabinieri».
Credo che mia madre non abbia mai volutamente imparato a cucinare per uscire dal destino di mia nonna. La mamma aveva una professione che amava, leggeva due quotidiani al giorno, di lei mio padre diceva orgogliosamente: «È una donna eccezionale».
Io me ne sono andata per conoscere il mondo, allontanandomi dal mio passato. Poi, improvvisamente, il film di Cortellesi quel passato me lo ha rimesso davanti, assieme al mio dolore e senso di colpa per le donne come mia nonna Bice.
Queste “nullità”, queste figure dimesse che non sono entrate nei libri di storia, hanno fatto le storie. Con accanto uomini ottusi, hanno cresciuto altre donne come mia madre e mia zia, che hanno potuto studiare e insegnare alle loro figlie l’indipendenza economica e la libertà di pensiero.
Io spero che abbiate visto C’è ancora domani o andiate a vederlo. Le donne sono cambiate dai tempi di Delia e di mia nonna Bice. Sono diventate visibili nel mondo. Non ci chiedono che cosa pensiamo solo quando hanno bisogno del nostro voto, ma ancora non ce l’abbiamo fatta completamente. Ognuna di noi sente visceralmente le ingiustizie e la sopraffazione come parte del proprio patrimonio genetico.
Tra due settimane ci sarà la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, noi di Grazia la celebriamo continuamente con il nostro attivismo. Eppure, molto tempo dopo la morte di mia nonna e 80 anni dopo l’ambientazione del film di Cortellesi, quasi ogni giorno in Italia una di noi muore per mano di un uomo. Nel mondo dittature, terrore e misoginia camminano insieme. Ma c’è ancora domani per lottare per un’umanità migliore.
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