Edie Campbell: originale a tutti i costi
Ha studiato nella scuola più esclusiva di Londra e u2028ai social network preferisce i libri, la storia dell’arte e l’equitazione. Non stiamo parlando di una ragazza inglese vecchio stile, ma di una delle top model più quotate del momento. Che a Grazia racconta u2028di quando ha capito che andare controcorrente paga. Lei lo ha scoperto tingendosi i capelli di nero per la campagna del profumo di cui è testimionial
Seduta in un salottino del grand hotel Le Bristol di Parigi sto per scoprire se tutto quello che si dice della modella Edie Campbell, 24 anni, sia vero. Chi la conosce la copre di elogi: intelligente, colta, spiritosa. La pensa così anche
il fotografo Mario Testino, che l’ha lanciata a 15 anni, quando portava ancora l’apparecchio ai denti e frequentava l’esclusiva St Paul’s Girls’ School di Londra, riservata alle ragazze dei quartieri alti. Ma quello di Testino potrebbe essere un giudizio di parte, visto che il fotografo è anche un grande amico della mamma di Edie, Sophie Hicks, ex direttrice moda della rivista Vogue UK, riconvertita in architetto di successo (ma in curriculum ha anche una piccola parte nel film Intervista del regista Federico Fellini).
Mentre mi dico che per Edie la moda è un affare di famiglia (la sorella minore, Olympia, 19 anni, è una modella in ascesa, e la nonna, Joan Hicks, negli Anni 50 era un’indossatrice da copertina), mi cade l’occhio su una rivista patinata, Holiday, posata su un tavolino stile Luigi XVI. Sfogliandola, noto che la nostra Campbell appare come autrice di un reportage di viaggio in Giappone. Comincio a leggerlo, prima con curiosità, poi con interesse: frasi brevi, evocative come le pennellate in un quadro impressionista.
Sono in piena atmosfera nipponica quando finalmente si apre la porta di una suite e Campbell si alza dal divano per venire a stringermi la mano dall’alto dei suoi 178 centimetri di altezza. Ha un’aria sbarazzina, T-shirt bianca, pantaloni chiari, niente trucco, e sono sorpresa dal contrasto tra la maturità del testo in cui ero immersa fino a pochi istanti prima e i tratti quasi infantili della super modella.
«Bello il suo pezzo sul Giappone», le dico. «L’ho scritto di getto, sul volo di ritorno», risponde lei, sistemandosi dietro le orecchie una ciocca di capelli biondo miele, il suo colore naturale.
La immaginavo ancora tinta di nero, come appare nella campagna del profumo di Yves Saint Laurent, Black Opium, di cui è il volto. Quel look rock e trasgressivo l’aveva trasformata e lanciata nel gotha delle modelle più richieste. La rivedo mentalmente nel clip della fragranza, dove il suo personaggio gioca sull’idea di dipendenza dal profumo. Inevitabile chiederle se anche nella vita vera ci siano cose a cui non riesce proprio a rinunciare. «Ai dolci», esclama seria, dopo averci pensato un po’. «E anche a una certa irascibilità. Un mio brutto difetto».
Che, però, non sembra pregiudicare la sua carriera. A che cosa deve la sua ascesa nell’industria della moda?
«Non saprei. Quando lavoro, cerco di ascoltare, capire, trasformarmi. Davanti all’obiettivo o sulla passerella, entro completamente nel ruolo che mi chiedono d’interpretare. È un esercizio che a volte riserva delle sorprese».
Per esempio?
«Mi ricordo del momento in cui mi sono vista allo specchio dopo che mi avevano tagliato e tinto di nero
i capelli. All’inizio ero un po’ sconcertata, poi mi sono resa conto che quella nuova immagine riusciva a riflettere la mia intimità».
In questo momento essere inglesi e di buona famiglia sembrano le credenziali giuste per diventare super modelle. Penso a Georgia May Jagger, Alice Dellal, Cara Delevingne. Come se lo spiega?
«Credo dipenda dal fatto che non abbiamo paura di passare per originali, di apparire strampalate e anticonvenzionali. Siamo affascinate dalla cultura contemporanea in cui anche una persona controcorrente può dire la sua. È una caratteristica tipicamente inglese. Prenda il sindaco di Londra».
Boris Johnson?
«Proprio lui. È un personaggio che esprime perfettamente l’eccentricità di cui parlavo: non teme
il ridicolo, fa cose strambe, sembra uscito da un cartone animato. Eppure è il primo cittadino di una delle più importanti metropoli del mondo».
Parlando di originalità: è vero che le sue icone di stile sono i personaggi della letteratura inglese?
«Verissimo. Ma non significa che, la mattina, mi metta una mantellina e la pipa in bocca per assomigliare
a Sherlock Holmes. Voglio dire che la personalità di grandi figure dei classici, la loro forza, la loro intelligenza, possono ispirare un look, un modo di essere e di rapportarsi al mondo».
Più di una volta, nel dietro le quinte di una sfilata, l’ho vista immersa nella lettura di un libro mentre le altre ragazze avevano gli occhi incollati al loro smartphone. È un modo per distinguersi?
«No, solo di sentirsi meno sole. Prima di un’esibizione, quando sei al trucco, non hai né l’occasione né l’energia di sostenere una vera conversazione. Un buon libro rimpiazza un amico. Detto questo, anch’io sono completamente dipendente dal mio iPhone, come tutte le ragazze della mia generazione».
Ma lei non fa parte delle cosiddette insta-girls, le modelle popolarissime sui social network.
«No, in quel senso sono un lupo solitario».
Perché?
«Penso che a nessuno interessi vedermi immortalata in una foto in cui bevo un caffè con le amiche. A meno che le amiche in questione siano delle meravigliose drag queen in una tenuta variopinta. Insomma, le immagini hanno un senso, dovrebbero esprimere quello che è bello, insolito, inaspettato. Altrimenti, che noia».
Due anni fa, quando è stata eletta modella dell’anno e passava da un servizio di moda a una sfilata, si è laureata con lode in Storia dell’arte al Courtauld Institute of Art di Londra. Come ha fatto?
«Sinceramente non lo so. Solo quando ho avuto il diploma in mano mi sono resa conto di quanto fosse stato stressante scendere da un aereo e rinchiudermi in biblioteca. Che ansia quando dovevo onorare un impegno proprio il giorno prima di un esame importante. In quei momenti hai solo voglia di restare chiusa in casa, in pigiama, a ripassare».
Le capita di chiedersi quanto durerà la sua carriera di modella?
«È inevitabile, tutto va così in fretta. Potrebbe finire tra sei mesi o dieci anni. Preferirei tra dieci anni».
Parliamo della sua grande passione: l’equitazione.
«Per me non è solo uno sport, ma una vera disciplina di vita. Se sono in Inghilterra, cerco di cavalcare tutti i giorni. Nello Yorkshire ho due cavalli, Dolly e Armani».
Quale preferisce?
«Una madre può forse avere preferenze tra i suoi figli?».
È un caso che il cavallo di una modella si chiami come uno stilista?
«Posso solo assicurarle che non sono stata io a scegliere il nome».
Allora come è andata?
«Ho due ipotesi: la prima è che alla nascita fosse un puledro così elegante da ispirare un nome legato all’alta moda».
E la seconda?
«Quando ha saputo che ero io la persona interessata all’acquisto, l’ex proprietaria deve aver pensato che una modella non poteva lasciarsi scappare un Armani».
Lei si considera una persona felice?
«Sono innamorata (è fidanzata con Otis Ferry, figlio del cantante Bryan, ndr) e quindi molto felice. Anche se amare con passione ti rende inevitabilmente più fragile».
Oltre all’amore, che cosa la fa stare bene?
«Sdraiarmi su un prato, in campagna, in una giornata di sole, cullata da una brezza leggera, la testa sgombra da ogni pensiero, un libro come compagno».
Che cosa sta leggendo adesso?
«English Eccentric di Ros Byam Show, che descrive le case di personaggi stravaganti, come quell’aristocratico del XVII secolo ossessionato dal bagno, a tal punto che non ne usciva neppure per ricevere la regina».
L’immagine è comica e Campbell accenna un sorriso composto mentre, con un gesto infantile, si tira la maglietta quasi sopra le ginocchia. La conversazione, e il sole che filtra dalle grandi finestre della suite, le hanno colorito le guance di rosa.
Come la descrivevano i suoi estimatori? Intelligente, colta, spiritosa. Aggiungiamoci anche bellissima.
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«Se la strage in spiaggia o il saccheggio alla Stampa sono definiti "resistenza"»: l'editoriale di Silvia Grilli
La resistenza è necessaria con ogni mezzo», «con Hamas fino alla vittoria», «ora e sempre resistenza». Sono slogan che sentiamo nelle piazze di tutto il mondo alle manifestazioni contro Israele.
Per chi li inneggia possono essere innocua teoria, opinioni a favore della Palestina o semplicemente parole urlate per non sentirsi esclusi dal gruppo, non una chiamata alle armi per massacrare i presunti oppressori. Ma c'è sempre chi prende la teoria alla lettera. Domenica 14 dicembre, quegli slogan sono stati scritti con il sangue degli ebrei.
Un padre e un figlio pachistani hanno sparato sulla folla che celebrava il primo giorno della festa religiosa ebraica dell’Hanukkah su una spiaggia famosa per le nuotate al tramonto. Quindici morti e decine di feriti sono rimasti sulla sabbia a Bondi Beach, uno dei posti più belli, pacifici e gioiosi dell’Australia. Il primo ministro Anthony Albanese ha dichiarato che non riesce a spiegarsi tutto questo male. Io credo sia molto spiegabile: per gli invasati che considerano Israele il male assoluto, massacrare gli ebrei è fare giustizia.
È la colpa dei giudei che spinge giovani ProPal a saccheggiare la redazione del quotidiano La Stampa (paradossalmente uno dei più favorevoli alla causa palestinese). Induce quel centinaio di manifestanti a scrivere e urlare slogan terroristi come “Stampa-Morta” o «giornalista sei il primo della lista», mentre una loro guru, Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite, riduce l'assalto a un «monito ai giornalisti».
Nella tradizione ebraica, Hanukkah è la festa della luce, della speranza. Colpire bambini, anziani e adulti che festeggiano la vita non è diverso da quando il 7 ottobre i terroristi di Hamas fecero strage al Nova Festival. Sparare sulla spiaggia in un momento storico in cui c'è qualche passo verso la pace è voler cancellare la speranza nel futuro.
Eppure, ho ancora fiducia che l’umanità possa superare l’odio. Domenica 14 dicembre, in Australia, questa speranza aveva i gesti di un uomo: Ahmed Al Ahmed, fruttivendolo immigrato siriano, che si è precipitato su uno dei terroristi e gli ha strappato il fucile. Aveva le gambe di Jackson Doolan, il bagnino veterano della spiaggia, ex star di Baywatch in Australia, che è corso a piedi nudi per un chilometro e mezzo portando il borsone dei medicinali. Aveva le braccia di tutti coloro che si sono adoperati per salvare le vittime, sollevandole sulle tavole di soccorso che di solito vengono usate per trasportare la gente a riva.
Gli orrori si ripetono, sembrano non volersi fermare. Ma se le persone corrono ad aiutare, se ci sono solidarietà e compassione, c’è ancora speranza nell’umanità.
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Grazia è in edicola con Maya Hawke
Maya Hawke è la protagonista di copertina Grazia in edicola e app. Si è fatta conoscere con la serie Stranger Things, arrivata all’ultima stagione. Ora l’attrice newyorkese figlia delle star Uma Thurman ed Ethan Hawke, girerà il nuovo capitolo di Hunger Games dove vuole portare l’energia di chi non ha paura di crescere.
Questa settimana intervistiamo alcune icone di Hollywood. Incontriamo Zoe Saldana, al cinema nel ruolo di Neytiri, la madre combattente di Avatar. Parliamo con Ariana Grande, in corsa ai Golden Globe con Wicked e le attrici premio Oscar Jodie Foster e Laura Dern.
Il 2025 ha cambiato noi e la Storia. Grazia lo ripercorre. Dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca alla guerra a Gaza. Dalle vittorie di Jannik Sinner all’elezione del primo Papa americano fino alla scomparsa di icone come Ornella Vanoni e Giorgio Armani.
Grazia ha scelto i personaggi da tenere d'occhio nel 2026: le sciatrici Sofia Goggia e Lindsey Vonn attese alle Olimpiadi invernali, María Corina Machado, premio Nobel per la Pace che potrebbe cambiare le sorti del Venezuela, Lady Gaga in arrivo in concerto in Europa e molti altri. Da Can Yaman a Jacob Elordi, da Timothée Chalamet a Jeremy Allen White, che cos’hanno in comune i nuovi sex symbol? Mettono d’accordo mamme e figlie. Grazia ve li racconta.
Abiti dorati, trasparenze, ricami e dettagli preziosi. Grazia ha scelto i capi che ti rendono protagonista delle notti di festa e delle serate più speciali. Ma anche lo stile più cool per il 2026.
E nelle pagine dedicate alla bellezza trovate tutti i segreti per brillare: dalle strategie effetto freddo per una pelle più tonica alla scelta del fondotinta e del correttore giusti per illuminarla.
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Jodie Foster: "Faccio film per capire chi sono"
Come trascorre il giorno del suo compleanno una diva planetaria come Jodie Foster, sotto i riflettori dall’età di tre anni? «Lavorando», mi risponde accomodata sulla poltrona, mentre sorseggia un cappuccino. Neanche a farlo apposta la incontro proprio il giorno in cui compie 63 anni e mi confida che finita l’intervista andrà con gli amici a festeggiare. Sessant’anni di carriera tondi, fresca del Golden Globe vinto a gennaio per la sua performance nella serie True Detective: Night Country, la regista e attrice torna al cinema con il nuovo film di Rebecca Zlotowski Vita Privata. Presentato in anteprima al Festival di Cannes e dall’11 dicembre al cinema, la vede calarsi nei panni della nevrotica psichiatra Lilian Steiner, ossessionata da un caso molto delicato.
Che rapporto ha con il passare del tempo?
«Buono. Mi sento più felice che mai in vita mia».
Davvero?
«Parlo di una gioia profonda, non di quello che mi accade giorno per giorno. Le cose della vita, belle e brutte, capitano. Ma vivo un momento in cui il lavoro sta andando sempre meglio e ho superato l’ansia delle domande: “Sarò in grado di farcela con le mie forze?”, “Avrò una famiglia?”. Tutte questioni archiviate, per fortuna non devo più preoccuparmene. Da giovane passavo tanto tempo a pensare a me stessa, dopo una certa età mi sono concentrata sulle storie degli altri, è più facile e divertente».
Anche in Vita privata ascolta le storie degli altri.
«La mia Lilian non è una psichiatra risolta, anzi, è parecchio nevrotica. Non riesce a comprendere come sia possibile che la sua paziente in cura da nove anni (Virginie Efira, ndr) si sia potuta uccidere. Non ci crede, non ammette la possibilità che lei, in quanto psichiatra, sia stata così sorda».
Ritiene che come società abbiamo perso il potere di ascoltare?
«Mostrare curiosità verso gli altri è tutto. Noi attori siamo allenati all’ascolto, per lavoro siamo chiamati a calarci nelle vite degli altri ed è una bella abitudine mettersi nei panni altrui, un esercizio che possiamo fare tutti. Ci aiuterebbe come società».
Dal titolo del film alla realtà, essendo conosciuta in tutto il mondo sin da piccola come ha fatto a proteggere la sua, di vita privata?
«Sforzandomi sempre molto. Lavorando sin da bambina sapevo di dovermi proteggere: volevo andare a Disneyland, ma senza le telecamere che mi seguissero. Volevo essere libera di andare al supermercato, o prenotare un volo senza che nessuno lo facesse al posto mio. Ci ho sempre tenuto a mantenere viva la mia indipendenza, tracciando una linea netta tra la mia vita pubblica e quella privata. Oggi sono contenta di aver seguito quell’impulso».
Nel film la sentiamo sfoggiare un francese fluente…
«Mi fa sentire più sicura di me, rispetto all’inglese. Sarà che devo la passione per il francese a mia madre, che me lo fece studiare».
Come mai?
«Non aveva mai viaggiato fuori dagli Stati Uniti fino ai cinquant’anni, ma la cultura europea l’affascinava. Comprava di continuo riviste e libri su Parigi e Napoleone, addirittura dipinse le pareti di casa con i colori delle antiche pietre romane. Quando ero bambina fece il viaggio dei suoi sogni e andò in Francia, con un tour in bus di quelli turistici».
Che cosa le disse al ritorno?
«"Jodie, impara il francese e diventa una grande attrice francese". Era il suo modo di dirmi che sognava per me una vita più ampia di quella americana. Anche perché erano gli anni 70, al potere c’era Nixon, non era facile essere americani. A mia madre piaceva l’idea che potessi scegliere di essere libera di inventarmi una vita tutta mia».
Ha fatto lo stesso con i suoi figli?
«Dovrebbe chiederlo a loro (Charlie e Kit, 27 e 24 anni, ndr). Intanto uno di loro sa parlare benissimo il tedesco, le mie radici tedesche ne sono contente».
Che rapporto ha con la psichiatria?
«Sempre stata scettica, ma una volta mi sono fatta ipnotizzare».
Com’è andata?
«Mi ripetevo: "Ma perché pagare 90 dollari a un tipo quando potrei smettere di fumare gratis oggi stesso?", eppure ha funzionato. Non amo la psicanalisi, per quanto la trovi attraente da un punto di vista cinematografico: non mi piace Freud, in America nessuno lo stima più, era un grandissimo sessista. Trovo però importante che al cinema si parli di salute mentale».
E che si mostri come le donne over 50 abbiano desideri, diritto al piacere e una vita sessuale appagante, come la sua Lilian con l’ex marito interpretato da Daniel Auteuil: perché tutto questo al cinema si vede ancora poco?
«Dovremmo parlare per ore della rappresentazione del corpo femminile. Purtroppo i pregiudizi sulle donne dopo una certa età sopravvivono, non solo al cinema. Ma sono speranzosa: registe come Zlotowski dimostrano di voler raccontare le donne per quello che sono, con tutti i loro desideri. La mia Liliane non è solo una psichiatra, una madre e una nonna, ma una donna che si esprime anche attraverso il corpo».
Con Auteuil avete avuto un intimacy coordinator?
«È una figura che ho scoperto sul set di True Detective. Ho detto: "Che lavoro pazzesco, dov’eri tu quando avevo 16 anni?". Ormai io e Auteil abbiamo superato i 60 e abbiamo risolto senza, ma sono contenta che questa figura esista, era importante che ci fosse».
Che cosa di lei non hanno mai capito finora?
«Non sono seria come credono. Non ho mai capito perché il pubblico mi affibbi quest’aura di serietà, io sono una persona leggera. Certo, se mi fanno domande serie rispondo in modo serio e amo fare lavori significativi, ma se sapeste com’è la mia giornata ideale cambiereste idea».
Com’è la sua giornata ideale?
«Sveglia presto, sci ai piedi, la sera una partita di calcio in tv e una cena gustosa. Altro che tormentata, sono una persona felice e ottimista verso il futuro».
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Come trasformare l'eredità in un'opportunità per i propri figli
Elena Valzania ha 57 anni e vive a Ravenna, in una casa che ha ereditato dalla sua famiglia. Cresciuta in un contesto economicamente stabile, è stata segnata più di quanto pensasse da ciò che ha ricevuto in eredità: non solo beni, ma un intero modo di vivere e pensare il denaro. «I nostri familiari conducevano vite semplici, risparmiavano e investivano».
A un certo punto, la malattia entra nella sua storia familiare e si intreccia alle questioni economiche. Il padre di Elena si ammala gravemente, per poi morire quando lei ha 20 anni. Insieme con i beni materiali, Elena riceve anche un’eredità invisibile: l’idea che il lavoro debba essere per forza fatica. Un peso silenzioso che la accompagna a lungo, anche dopo la laurea in Farmacia, quando si avvicina all’omeopatia e inizia a lavorare. «Rispetto allo studio, lavorare mi sembrava facilissimo, ma proprio per questo mi pareva che non valesse abbastanza». E infatti, quando viene assunta in una cooperativa di Bologna, non negozia lo stipendio.
La sua carriera aziendale si interrompe durante la sua prima maternità: l’azienda viene acquisita e, al rientro dal congedo, capisce che stanno cercando di spingerla alle dimissioni.
Da allora, Elena non è più rientrata nel mondo del lavoro “ufficiale”. I soldi necessari ad andare avanti, però, in un modo o nell’altro, entrano. Ed Elena procede nella sua vita, con una leggerezza sconosciuta ai suoi familiari. Che le è concessa, però, anche grazie all’eredità materiale ricevuta da loro: «Mio marito e io abbiamo sempre avuto la mentalità di investire sulla nostra famiglia. Tuttora siamo concentrati sul mantenere i nostri tre figli agli studi e i beni di famiglia sono un mezzo per sostenere questa nuova generazione».
Parola all'esperta: le polizze come strumento di tutela
RISPONDE ELENA BELLUCCI DELL’AGENZIA ALLEANZA DI EMPOLI (FI)
1) Come si gestisce un’eredità ricevuta?
«Ricevere un’eredità può risultare persino destabilizzante, specie se si tratta di grandi somme, e senza una gestione attenta il rischio è di sperperare il patrimonio o di non trarne vantaggio. È insomma necessaria un’attenta pianificazione che parta dai bisogni dell’individuo o della famiglia, ragione per cui può essere molto utile affidarsi a un buon consulente assicurativo e finanziario. Tra le soluzioni possibili ci sono le polizze di investimento, che combinano l’opportunità di investimento con la componente assicurativa, che offre una protezione sul capitale o sul rischio di vita. Ne esistono di diversi tipi: con quelle a capitale garantito, per esempio, si ha la certezza che il capitale che sarà restituito all’uscita dall’investimento non sarà inferiore a quello versato».
2) Che vantaggi hanno, rispetto alle altre soluzioni?
«Le polizze da investimento sono nate per chi desidera assicurare un sostegno economico ai propri cari, anche in caso di decesso, con l’aggiunta di un rendimento. Offrono però anche altri vantaggi: uno dei più importanti sta nel fatto che il capitale così collocato non rientra nell’asse ereditario e non viene considerato nel calcolo dell’eredità ai fini della tassa di successione. In caso di morte del contraente le somme passano al beneficiario, nel rispetto delle quote di eredità legittime disponibili, e questo rende la polizza un ottimo strumento per tutelare le coppie non sposate o i minori».
Testo di Annalisa Monfreda
*co-fondatrice di Rame, rameplatform.com
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