Drusilla Foer: «Sono Drusilla e mi stavate aspettando»
La nota più acuta di Sanremo edizione 2022 ha il nome di Drusilla Foer. È la prima volta che un personaggio inventato viene chiamato al ruolo di co-conduttrice del Festival.
Drusilla, infatti, è frutto dell’immaginazione dell’attore Gianluca Gori. Di lui, della sua vita reale, si sa pochissimo: è anche fotografo e nella vita “pre-Drusilla” si è occupato di moda e design.
Vive a Firenze, nello stesso quartiere dove è nato, le Cure Alte, e qui per gli amici più cari è “Gigo”; ha due fratelli; vive da solo; è orfano di padre e molto legato alla sua mamma Anna, una sarta bravissima, e da sempre cuciono insieme gli abiti di scena di Drusilla, il personaggio che una decina di anni fa ha rubato la scena a Gianluca.
Drusilla ha una vita da romanzo: origini vagamente nobili, un’età imprecisata, un passato a Cuba, dove è cresciuta, ma anche a New York, dove negli Anni 80 ha aperto un negozio di abiti vintage italiani, frequentato da celebrity come Freddie Mercury e Aretha Franklin. E nella sua vita ci sono stati due mariti e un gusto impeccabile che l’ha resa un’icona di stile.
Finora Foer - accento sulla “e” - si era fatta conoscere sui social, soprattutto in questi due anni di pandemia, grazie alle sue telefonate immaginarie, un po’ come quelle della Sora Cecioni di Franca Valeri.
In tv è stata giudice di Strafactor, derivazione del più noto talent show X Factor. Parecchi, inoltre, hanno visto il suo spettacolo Eleganzissima, in tour dal 2016, nel quale canta, balla, condivide pensieri.
Questo, e molto altro ancora, l’ha portata fino a Sanremo e quindi nell’intervista che segue non c’è Gori che ci presenta il suo personaggio, ma Drusilla che racconta se stessa.
È stato difficile diventare Drusilla?
«No. Perché non l’ho fatto nel mio ambiente, nella mia famiglia, nel “mondino” privilegiato da cui provengo. Sono stata randagia, ho vissuto in posti diversi, sempre alla prova, alla “o la va o la spacca”. Ho avuto la fortuna di non stagnare nel mondo dove ero nata e che mi avrebbe giudicata. Per questo, ai giovani dico di scappare di casa appena possibile. E ai genitori che è un loro dovere mandarli via».
Saremo sancisce la sua notorietà. Che effetto fa diventare nazional-popolari?
«Non ho mai voluto rivolgermi a pochi. Semmai al singolo. Non mi sono mai data un target, un certo tipo di pubblico da raggiungere. E credo che questo, alla fine, mi abbia premiata: mi seguono persone molto diverse: adolescenti, signore settantenni, uomini di mezza età».
Però Drusilla sul palco di Sanremo qualche anno fa sarebbe stato impensabile, non crede? Un personaggio che invita una parte d’Italia a confrontarsi con l’identità di genere, un certo machismo e i pregiudizi sull’età.
«È un buon segno, no? Forse vuol dire che il Paese è pronto per un qualcuno di particolare, eccentrico come me. È quello che è successo con i Måneskin. E con Achille Lauro che, lo scorso anno, si è giocato le sue carte “en travesti”, citando icone anche del mondo gay. Adesso tocca a me, una signora più sobria. Mi piacerebbe tanto mettermi quei completini dei Måneskin, ma per quello non ho davvero più l’età».
In primavera, su Netflix, arriverà il film Sempre più bello, nel quale interpreta la nonna-strega della giovanissima protagonista. Che esperienza è stata?
«È stato bello avere a che fare con un gruppo di attori giovani, pieni di entusiasmo, leali, spontanei. Purtroppo la sera che l’ho visto in anteprima ero distratta perché avevo mal di testa e un vestito troppo stretto. Mai indossare abiti attillati con l’emicrania».
In base alla sua esperienza, quali sono gli aspetti negativi dell’essere donna?
«Premesso che mi considero un individuo, capita di doversi scontrare con certi stereotipi, un certo machismo. Il mio ferramenta, un ragazzo incantevole, con questa bella tuta marrone, all’inizio mi trattava come una vecchia cretina. Quando gli ho dimostrato che mi intendevo di meccanica, ha iniziato a venerarmi. Con la competenza si risolve tutto».
E i vantaggi?
«Noi signore sappiamo fare più di una cosa insieme. Per esempio, durante la seduzione, sappiamo difenderci e attaccare contemporaneamente. E mi piace accogliere la galanteria come quando, al ristorante, ti fanno sedere a un tavolo carino».
Ha evitato la parola multitasking. Da toscana, le dà fastidio l’uso di termini stranieri?
«Dipende. “Multitasking” è un termine un po’ cretino che non vuol dire niente. Uso le parole straniere quando ritengo siano necessarie o più eleganti. Meglio ordinare uova “baveuse” piuttosto che uova bavose».
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Foto di Simone Falcetta - Styling di Nike Antignani
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